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Bene comune. Vietato l’uso esclusivo senza una deliberazione assunta all’unanimità

Bene comune. Vietato l’uso esclusivo senza una deliberazione assunta all’unanimità

Avv. Luana Giannuzzi scrive…

Il caso

Nella fattispecie gli attori convenivano in giudizio il condominio nonché i singoli condomini per sentire annullare le deliberazioni adottate dall’assemblea in sede di riunione condominiale.

La citazione veniva dichiarata nulla dal giudice di prime cure per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni condomini. Gli attori impugnavano, pertanto, la sentenza.

La Corte di appello, muovendo dalla premessa secondo la quale “la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni condomini non avrebbe potuto determinare la nullità della citazione, bensì la sola estinzione del rapporto processuale riguardante le uniche domande rispetto alle quali erano legittimati i singoli condomini e non l’amministratore del condominio”, riformava la sentenza di primo grado, sostituendo la dichiarazione di nullità dell’atto di citazione con la pronuncia di estinzione del processo nei confronti del rapporto processuale avente ad oggetto le domande di modificazione del regolamento condominiale contrattuale e di revisione delle tabelle millesimali allegate.

La corte, inoltre, nel rilevare che la domanda relativa alla asserita erroneità della ripartizione delle spese di ascensore non era stata formulata in primo grado, la dichiarava inammissibile in grado di appello per il suo carattere di novità. Infine, accoglieva l’impugnazione nella parte in cui l’assemblea, con le deliberazioni impugnate, aveva accreditato solo ad alcuni condomini la quota del ricavo realizzato annualmente mediante la riscossione del canone di locazione del locale originariamente destinato ad alloggio del custode, violando, di fatto, quanto stabilito dal regolamento condominiale. Per la cassazione delle sentenza emessa dalla corte di appello ricorreva il condominio.

La decisione La Suprema Corte esamina i tre motivi di ricorso:

1. Con il primo motivo si chiede alla Corte di accertare se il giudice del gravame abbia pronunciato “extra petita”, per aver dichiarato la nullità delle delibere impugnate,con riferimento alle statuizioni attinenti alla ripartizione del canone relativo all’alloggio ex portineria, statuendo su di una domanda non proposta in primo grado, ma formulata solo sotto forma di eccezione. La Corte reputa infondato il motivo, affermando che “non si tratta di difetto di domanda, ma di interpretazione della stessa, attività riservata al giudice del merito”.

E, sulla scorta di tale considerazione, precisa che gli attori hanno proposto anche domanda di nullità delle delibere con riferimento alle statuizioni attinenti alla ripartizione del canone relativo all’alloggio ex portineria, ribadendo il principio affermato dal giudice del gravame, ossia che “la trasformazione in tutto o in parte nell’ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini attraverso l’esclusione di altri condomini dal percepimento dei frutti può essere validamente deliberata soltanto all’unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale, dovendosi in difetto dichiarare la nullità della deliberazione dell’assemblea assunta a maggioranza”.

2. Per le medesime ragioni la Corte ritiene infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione dell’art. 1137 cod.civ. “per avere la corte di merito erroneamente ritenuto di doversi pronunciare sulla nullità delle delibere in commento, accogliendo la eccezione di decadenza promossa dagli appellati esclusivamente in relazione alle modalità e criteri con i quali, nei singoli esercizi cui si riferivano i rendiconti approvati, era stata disposta la suddivisione delle spese dell’acqua e dell’ascensore, e non anche in relazione alle deliberazioni stesse nella parte in cui l’assemblea aveva accreditato”solo ad alcuni condomini il canone di locazione dell’unità originariamente destinata ad alloggio del portiere, di cui aveva asserito la nullità.

3. Con il terzo motivo si deduce che il giudice del gravame abbia erroneamente dichiarato l’estinzione del processo solo nei confronti del rapporto processuale avente per oggetto le domande per le quali non era stato integrato il contraddittorio, decidendo nel merito sulle altre domande, laddove, invece, avrebbe dovuto dare atto dell’estinzione dell’intero giudizio a seguito della mancata integrazione del contraddittorio, non essendo tra loro scindibili le cause promosse. Anche il predetto motivo viene ritenuto infondato.

Muovendo dalla considerazione secondo la quale “in caso di pluralità di domande proposte nello stesso giudizio e non legate fra loro da vincolo di dipendenza, ciascuna di esse rimane distinta dalle altre e può avere vita autonoma”, con la conseguenza che laddove “il giudice abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio soltanto in riferimento ad una delle domande proposte, e la parte non abbia ottemperato a tale ordine, la sanzione per l’omessa integrazione non può estendersi anche alla domanda per la quale l’ordine di integrazione non sia stato impartito”, la Corte, ritiene che, nella fattispecie in esame, il giudice del gravame abbia correttamente “distinto le domande proposte dagli attori tra quelle aventi ad oggetto le impugnazioni delle delibere dell’assemblea condominiale relative alla ripartizione dei ricavi della locazione dell’alloggio ex portineria, in relazione alle quali legittimato passivo era esclusivamente l’amministratore del condominio, e quelle relative alla revisione del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali, che vedevano la legittimazione passiva di tutti i condomini”.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte rigetta il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
I “precedenti”. La sentenza in commento aderisce all’orientamento già più volte espresso dalla Suprema Corte, secondo la quale vi sono deliberazioni che devono essere assunte necessariamente all’unanimità: in difetto la delibera è nulla. Si veda, in argomento, la sentenza n. 10196 del 30 aprile 2013 (Cass., sez. II), richiamata dalla stessa Corte nella pronuncia in commento, ai sensi della quale “È nulla la delibera dell’assemblea di condominio, adottata a maggioranza, che stabilisca il tasso (nella specie, nella misura del venti per cento annuo) degli interessi moratori a carico dei condomini in caso di omesso o ritardato pagamento degli oneri condominiali, potendo una siffatta disposizione essere inserita soltanto in un regolamento condominiale di natura contrattuale, approvato all’unanimità; e l’anzidetta nullità, che può essere fatta valere dal condomino interessato senza essere tenuto all’osservanza del termine di decadenza di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c., inficia e travolge anche le successive delibere, nella parte in cui, ripartendo gli oneri di gestione tra i condomini in relazione al singolo anno, applicano il medesimo tasso di mora”.
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