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Arricchirsi o desiderare di cambiare il mondo?

Muhammad Yunus scrive…

Il desiderio di cambiare le condizioni del mondo può essere altrettanto intenso di quello di arricchirsi?

Ecco il vero punto.

Molte volte ho sostenuto di sì, che cioè riuscire a migliorare qualcosa nelle condizioni di vita delle persone è almeno attrettanto remunerativo e trascinante che fare soldi, forse ancora di più.

Dovete provarci: potreste restare affascinati dalla vostra stessa capacità di cambiare in meglio le cose del mondo ed essere presi dal desiderio di fare ancora di più e ancora più presto in questa direzione.

Potrebbe capitarvi di restare svegli la notte a fantasticare sulle cose meravigliose con cui avete la prospettiva di misurarvi la mattina dopo, appena arrivati sul lavoro.

L’ imprenditore di business sociale è spesso vittima dell’ ossessione del successo esattamente come l’ imprenditore convenzionale, con la differenza che il successo cui entrambi mirano è di tipo diverso.

Si pensa comunemente che i dipendenti di un impresa con finalità sociali debbano essere mal pagati e che non possano sperare in una buona carriera.

Questo perchè si crede che un’ impresa che si pone l’ obiettivo di aiutare la gente riesca ad attrarre solo chi si sente portato alla beneficenza ed è disposto a sacrificare il proprio interesse personale per il bene della società.

Questa è semplicemente un’ idea sbagliata.

In realtà il business sociale tende a pagare salari più alti, e non più bassi, della media.

In primo luogo un’ impresa con finalità sociali deve reclutare persone di talento dal medesimo mercato del lavoro “dragato” dalle aziende dedicate al profitto.

Quindi deve offrire un salario e un corredo di benefit competitivi.

Se si ha bisogno di un bravo amministratore, di un esperto di marketing o di un tecnico competente, bisogna fare un’ offerta economica che stia alla pari con quella di una banca, di un’ azienda automobilistica o di un produttore di computer.

Scontata questa parità di trattamento economico, un’ impresa con finalità sociali è in grado di offrire un livello di gratificazione personale più elevato di un’ azienda convenzionale.

Supponiamo che un contabile abbia in mano due offerte, una da un’ azienda convenzionale dedicata al profitto, e una da un’ impresa con finalità sociali, e che entrambe comportino lo stesso salario, gli stessi benefit, la medesima posizione gerarchica e lo stesso livello di responsabilità.

Secondo me, la maggior parte delle persone, giunte al punto di decidere, comincerebbe a chiedersi: “Che differenza c’ è fra questi due lavori? Il business sociale mi offre una possibilità di fare qualcosa per cambiare il mondo, di essere una parte della soluzione invece che solo una parte del problema.

Potrò tornare a casa dal lavoro ogni sera con l’ intima consapevolezza di essere impegnato nella soluzione di un problema che altrimenti rimarrebbe tale, e mi farà bene constatare che il mio contributo sta cambiando le cose.

Se l’ aspetto economico del trattamento è lo stesso di quello di un azienda convenzionale, perchè non scegliere il business sociale?”

Scrivo di questo argomento dal punto di vista pratico di un uomo di affari che ha effettivamente fondato, sviluppato e diretto un’ impresa di business sociale.

La Grameen Bank e le altre iniziative di business sociale cui partecipo hanno sempre dovuto fronteggiare la difficoltà di riuscire ad assumere e conservare i dipendenti più abitli in competizione con le maggiori aziende orientate al profitto.

Sono felice di poter dire che non abbiamo avuto difficoltà a reclutare personale di prima scelta.

Come succede in ogni azienda, qualcuno è restato da noi per un tempo limitato, diciamo due o tre anni, ma la maggior parte ha scelto di lavorare con noi per tutta la carriera.

Molti di coloro che oggi sono ai vertici della Gremeen Bank hanno cominciato a lavorare con me quando, ancora studenti universitari, frequentavano i miei corsi di economia all’ Università di Chittagong e fare prestiti ai poveri non era che un’ idea anticonformista che poteva essere anche divertente sperimentare.

Sono passati quasi trent’ anni da allora e queste persone fanno ancora parte della squadra che lavora con me, ma intanto, come chiunque altro, hanno messo su famiglia, hanno mandato i figli all’ università, si sono comprati una casa e hanno messo da parte dei risparmi per quando lasceranno il lavoro.

Dunque lavorare in un’ impresa con finalità sociali non vuol dire votarsi alla santità o al sacrificio, ma cuol dire farsi carico dello sforzo per migliorare le condizioni del mondo, una motivazione che ogni abitante della Terra, secondo me, porta nel cuore.

 

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