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USA, il governo trema per il rischio default

 

Cari amici,

L’ anno è appena iniziato, e già si inizia a parlare concretamente di rischio default dello stato USA.

“Anche un default limitato o di breve termine avrebbe conseguenze economiche catastrofiche che potrebbero andare avanti per decenni – ha detto il ministro al Tesoro Usa, Timothy Geithner, in una lettera scritta al Congresso- Per questa ragione, (…scrive), chiedo che il Congresso agisca per alzare il limite del debito previsto quest’anno, molto prima che la minaccia default diventi imminente”.

Il limite è fissato a 14.300 miliardi di dollari -tra il 31 marzo e il 16 marzo.

Se tale limite non dovesse essere alzato, la conseguenza sarà un aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato americani, una maggiore difficoltà delle società americane ad accedere al credito e di conseguenza una perdita di nuovi posti di lavoro.

E il governo, aggiunge, non riuscirebbe neanche a effettuare i pagamenti sul debito corrente, che si attesta a 13.960 miliardi di dollari.

A fronte di questa situazione oltremodo preoccupante, il governo USA, a mio giudizio, non sta prendendo alcun provvedimento che sarebbe necessario:

Nel merito, Obama dovrebbe agire subito per costringere il congresso americano a ridurre pesantemente la spesa stanziata per l’ esercito, incrementare pesantemente le imposte alla fascia di popolazione più ricca, e, con i soldi così ricavati, in parte cominciare ad abbattere il debito pubblico, e in parte sostenere i redditi dei meno abbienti.

Ma probabilmente sto sognando! L’ economia USA ormai non potrà risollevarsi solo con politiche fiscali, perchè ha troppi poveri da gestire e non si sa come farli riassorbire dal sistema economico, perchè c’ è sempre meno lavoro, e quello che c’ è è sempre meno pagato.

Noi in Italia non siamo condannati a fare la fine degli USA!

Spero che i nostri politicanti si ravvedano, che sorgano degli statisti che ci facciano sognare un futuro migliore e più solidale.

Tremonti a volte riesce a raccontare la realtà senza ipocrisia, ma subito dopo viene risucchiato in un treno di polemiche che distorcono la realtà delle cose che in se dovrebbe essere semplice da comprendere per tutti.

Ossia si tenga ben conto che in Italia i debiti pubblici, al netto degli interessi, da quest’ anno in poi dovranno scendere un pochettino ogni anno, costi quel che costi; altrimenti molto presto rischieremo il collasso finanziario.

Non riesco a capire perchè gli uomini abbiano sempre bisogno di toccare il fondo prima di trovare la forza di ripartire.

Sarebbe meglio rimediare ai nostri problemi prima di cadere, così non dovremmo poi sprecare energie per rialzarci.

La Repubblica

Tremonti evoca i mostri e in quel videogame da paura Silvio Berlusconi si è sentito subito risucchiare. Il suo ministro parla da Parigi della “situazione internazionale”, delle nubi che si addensano, della crisi che è altro che finita, e il presidente del Consiglio legge nel monito sui conti un messaggio tutto a uso interno.

“Se è stato un modo per farmi capire che non aprirà le casse per reperire i fondi necessari alle riforme che gli ho chiesto, stavolta si sbaglia e va a sbattere” è stata la reazione che gli uomini del Cavaliere hanno registrato nelle ore successive all’intervento di Tremonti al simposio francese. Coordinatori e quegli stessi fedelissimi – da Cicchitto alla Bernini a Napoli oltre – dai quali partirà non a caso una raffica di avvertimenti all’indirizzo del ministro: certo, la crisi, ma ci sono anche spiragli positivi, dunque assieme ai tagli è giunta l’ora di “interventi sul fisco che aiutino la crescita”, per usare le parole del capogruppo alla Camera. Per il presidente del Consiglio è lo spettro dei cordoni della borsa che restano sigillati. Sono le porte delle casse pubbliche che si chiudono alle richieste degli uomini di Casini su quoziente familiare e cedolare secca, come sulle speranze – in chiave pre-elettorale – di dar forma e sostanza alla riforma del fisco. E in queste condizioni le aperture della maggioranza ai centristi sono destinate a restare una chimera.

Di più. Il Cavaliere ieri ha avuto la conferma plastica di come Tremonti si
sia ritagliato ormai un ruolo del tutto autonomo. Lo contraddice sulla scena internazionale sostenendo che dalla crisi non siamo affatto fuori. E si pone quale unico interlocutore in grado di dialogare con le cancellerie europee e di governare la Borsa e i suoi contraccolpi. Il ministro dell’Economia ha le sue ragioni e i suoi conti, d’altro canto. Sa bene che quei miliardi (cinque, dieci?) necessari alla copertura finanziaria del quoziente familiare come della cedolare secca non sono nelle disponibilità del Tesoro. Né è possibile tagliare ancora. Una partita, quella tra Bossi e Tremonti, che appare già alla resa dei conti finale. Con Umberto Bossi che resta col fiato sospeso: perché se salta il tavolo del governo, anche il federalismo fiscale va alla malora. Ecco perché proprio il Senatur, in queste ore, sta portando avanti l’ultimo strenuo tentativo di tenere insieme “quei due”. Non è il solo. Con altre finalità, anche nel fronte pidiellino c’è chi sta tentando di convincere Berlusconi che sarebbe un errore abbandonare del tutto “Giulio” all’egemonia del Carroccio, oltre che alle “cene degli ossi”. “Sarebbe un errore, è una risorsa del Pdl, non possiamo consentire che la Lega metta il cappello sul nostro ministro – ragiona Osvaldo Napoli – Se Berlusconi e Tremonti torneranno a confrontarsi, una soluzione la troveranno senz’altro, tra rigidità dei conti ed esigenze della politica”. È quella stessa corrente “trattativista” che fa capo a Letta e Cicchitto che in queste ore sta esercitando pressioni sul presidente del Consiglio perché fermi la campagna acquisti ad personas. I due ritengono di aver strappato già a Casini e ai suoi una sorta di “desistenza esterna” della quale il governo e l’esigua maggioranza potrebbero giovare non poco. “Ma devi fermare le manovre dei Moffa e dei Romano a caccia di parlamentari” è l’insistente invito dei consiglieri al premier.

Berlusconi sembra avere altri pensieri, altre preoccupazioni in questo scorcio di vacanze trascorse – come quelle estive – nella residenza di Arcore. Ed è il timore che col precipitare della situazione, col fallimento dell’allargamento della maggioranza, con la crisi e l’eventuale voto anticipato, Tremonti a questo punto divenga una “risorsa” non del Pdl, ma proprio di chi – dalla Lega ai terzopolisti – lavora già al dopo-Berlusconi. Perché il tempo limite per ottenere le elezioni anticipate come ultima via di fuga dalla “palude”, scade ad aprile. A quel punto lo scioglimento delle Camere diventerà un miraggio. E il fantasma di un esecutivo di emergenza economico-finanziaria potrebbe materializzarsi proprio nelle sale del ministero di Via XX settembre.

L’attrito del premier nei confronti del ministro raccontano stia rasentando l’astio. E non è casuale – a sentire gli stessi dirigenti pidiellini – l’avvertimento lanciato qualche giorno fa dal Giornale di famiglia, quel “non fare come Fini”. Che ai più maliziosi ha ricordato un analogo avvertimento lanciato dal quotidiano al presidente della Camera affinché non uscisse fuori dai ranghi, poco prima che partisse la campagna mediatica sulla casa di Montecarlo. Tremonti va avanti sicuro ma non del tutto sereno. Le indiscrezioni trapelate in questi giorni sull’inchiesta napoletano che coinvolge Marco Milanese, suo fidatissimo collaboratore, non gli fanno presagire nulla di buono. Dalla “macchina del fango” in azione contro gli avversari, lui si è sempre tenuto lontano. Non vorrebbe adesso vedersela scatenare contro.

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