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Lodo Alfano: La legge è uguale per tutti?

In attesa attesa della sentenza sul lodo Alfano

Cari amici,

La Consulta in queste ore sta decidendo sulla legittimità del cosiddetto “lodo Alfano”.

Questa questione sta diventando sempre di più “politica” e sempre meno istituzionale.

E la ragione è la stessa di tutte le questioni degli ultimi cinque anni: La presenza ingombrante e sempre più ingestibile di Berlusconi.

Il punto della questione è che per il presidente del consiglio il lodo Alfano è necessario per non scontrarsi contro la magistratura.

La salvezza giudiziaria di Berlusconi dipende dal lodo Alfano.

Per questo motivo diventa imbarazzante discutere di legittimità di questa legge, in quanto è evidente che essa è utile soprattutto per evitare i processi di una sola persona.

E comunque Sono convinto che, in ogni caso, Berlusconi non si dimetterà mai, nonostante i processi a suo carico in corso!

Credo che il presidente sia ben consapevole che tutti al momento sono obbligati a reggere il suo gioco, in quanto non esistono candidati in grado di sostituirlo.

Bisogna riconoscerlo: Berlusconi è davvero bravo in politica!

Il sole 24 ore

Suggerisce Francesco Cossiga, che qualora la Consulta dovesse decidere di «rovesciare il tavolo» sancendo l’illegittimità costituzionale del Lodo Alfano, Silvio Berlusconi dovrebbe ripetere quanto fece Amintore Fanfani nel 1987: presentarsi alle Camere, farsi votare contro dalla sua maggioranza e «sfidare» il Capo dello Stato a tentare di formare un nuovo governo «da bocciare», costringendolo così a sciogliere le Camere.

Quella storia il presidente emerito la conosce bene, visto che a quei tempi era lui l’inquilino del Colle. Ed è possibile che più di qualcuno nel Pdl vi presti attenzione, anche se ieri chi usciva da Palazzo Grazioli, residenza romana del Cavaliere, sprizzava ottimismo. «L’umore di Berlusconi? eccellente come al solito» garantiva Niccolò Ghedini, avvocato del premier nonché parlamentare e protagonista dell’arringa mattutina alla Consulta. «È alle stelle, come i sondaggi», gli faceva eco il vicecapogruppo vicario Italo Bocchino. La sintesi è affidata a Sandro Bondi: «Il premier è sereno perché ha fiducia nella stragrande maggioranza dei magistrati».

Ma resta il punto fermo, ripetuto ieri dal presidente del Senato Renato Schifani, che «gli italiani vogliono scegliere il loro governo». E quindi, al di là di quale sarà la pronuncia della Corte, la seconda carica dello Stato, come anche il suo omologo alla Camera Gianfranco Fini, non ritiene possano esserci «sbocchi a governi diversi da quella che è stata la volontà elettorale».

È il leit motiv che tutto il centro-destra va ripetendo in queste ore. L’eventuale bocciatura del Lodo per illegittimità costituzionale – ad esempio perché non sarebbe stata sufficiente la mera legge ordinaria trattandosi di una fattispecie assimilabile all’immunità – è comunque l’ipotesi ritenuta più improbabile nella maggioranza. E in ogni caso, qualora si avverasse, non obbligherebbe certamente Berlusconi alle dimissioni. Formalmente la decadenza dello scudo riaprirebbe i procedimenti contro il premier sospesi dal lodo Alfano, ma non potrebbe imporre a Berlusconi di rimettere il proprio mandato. Anche perché, dicevano ieri alcuni degli esponenti di maggior spicco del Pdl, non coinvolgerebbe soltanto il premier: «Sarebbe una sconfessione anche del presidente della Repubblica». E un fedelissimo del Cavaliere, qual è Giorgio Stracquadanio, ha ulteriormente esplicitato: «È stato proprio il Capo dello Stato che ha posto la premessa tra il diritto di difesa e il dovere di governare».

Il ricorso alle urne al momento appare dunque come una extrema ratio, sbandierata più per enfatizzare il presunto «disegno eversivo» dei cosiddetti poteri forti, che per realismo politico. Così come la discesa in piazza a sostegno del premier annunciata forse un po’ troppo precipitosamente lunedì. «La manifestazione? Se la faremo sarà a dicembre e per quella data si capiranno nel frattempo molte cose…», osservavano ieri ai piani alti di Palazzo Madama.

Diverso sarebbe se la Corte, pur non cancellando totalmente lo scudo a difesa delle alte cariche, intervenisse con una pronuncia in cui ne dichiari l’illegittimità parziale, attraverso una sentenza additiva, oppure con un verdetto di rigetto accompagnato da un’interpretazione della norma. In questo caso infatti lo scudo resterebbe sì in vigore, ma dovrebbe essere applicato secondo i criteri decisi dalla Corte. In entrambe le ipotesi è presumibile che si torni davanti al Parlamento, per intervenire con una nuova legge finalizzata a sancire formalmente le motivazioni della Consulta. È un percorso che non viene ritenuto pericoloso nella maggioranza.

I processi a carico del premier rimarrebbero comunque sospesi e dunque non inciderebbero sulla funzione di governo del presidente del Consiglio. Certo – faceva notare qualcuno in Transatlantico – molto dipende da quello che ci sarà scritto nella motivazione. Ma non per eventuali ricadute «tecniche» bensì per quelle politiche. Riaprire il dibattito sarebbe comunque fastidioso, per usare un eufemismo, visto che l’attenzione sarebbe nuovamente concentrata sulle vicende giudiziarie del premier. Ecco perché tutti nella maggioranza sperano che alla fine la scelta della Corte sia per la inammissibilità o infondatezza dei ricorsi contro il lodo: in questo caso lo scudo sopravviverebbe e i processi Mills e Mediaset rimarrebbero sospesi.

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