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La crisi è l’ espressione di uno squilibrio strutturale

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. È editorialista per il mensile di "Altraeconomia" ed è autore di numerosi articoli e saggi. Tra i suoi ultimi libri “Visione e verità” (Cittadella editrice, 2011), “La logica del dono” (Edizioni Messaggero, 2011) e “Idee eretiche” (Altreconomia, 2010). Il suo ultimo libro è "Le logiche del male" (Rosenberg & Sellier, 2012);

In Italia, in Europa, nel mondo, l’economia "globale" mostra i segni di una crisi profonda, peggiore – per alcuni aspetti – anche di quella del 1929. Una crisi, del resto, può anche rappresentare un’opportunità: con quale speranza possiamo guardare al futuro?

La “crisi” attuale è particolare. Non va intesa come un passaggio momentaneo a cui seguirà una ripresa. Né come un toccare il fondo per risalire automaticamente.

In realtà la crisi continua a durare perché è l’espressione di uno squilibrio strutturale e profondo che chiede un cambiamento di logica e di sistema in economia.

Gli altri popoli (dall’Africa all’Asia all’America Latina) conoscono da secoli o almeno da decenni i problemi tragici provocati da un’economia iniqua, ora noi scopriamo questi problemi è parliamo di “crisi”.

La parola più adeguata è invece “trappola”: l’umanità resta in trappola se si affida a un meccanismo cieco e in parte automatico, chiamato “mercato”, e in buona parte pilotato da interessi e scelte di oligarchie invisibili.

Ecco perché non c’è un’automatica ripresa immaginabile come un rimbalzo dal basso verso l’alto.

L’unica via di liberazione sta nell’avvio di un processo di democratizzazione dell’economia, fondato sul riconoscimento del primato della persona, dell’umanità intera e del bene comune sulla logica che invece afferma il primato del capitale.

A seguire il suo pensiero "eretico" vien fatto di credere che prima di una qualche nuova "miracolosa" formula economica, vada individuata una nuova idea di società.

Questa economia, questo sistema economico – se non abbiamo male interpretato le sue tesi – non possono che tendere a replicare se stessi. Quale società, dunque, dobbiamo immaginare?

Una visione diversa della società emerge e diviene cultura condivisa ed efficace solo se anzitutto maturiamo una migliore conoscenza di noi stessi.

Per agire in modo adeguato nella storia occorre anzitutto una stima per l’uomo, un riconoscimento della sua infinita e incondizionata dignità.

Dignità che è, oltre al valore del singolo, anche la prima forma di legame interumano di ognuno con tutti, la prima grande comunità di cui siamo membri.

Quando finalmente l’umanità vede se stessa per il valore che incarna, allora sorgono progetti di società e modalità di azione educativa, economica e politica che cercano di interpretare con la maggiore fedeltà possibile questa etica della dignità e del bene comune.

A mio avviso dobbiamo aprirci alla visione di una società compatibile con le esigenze ineludibili della fraternità e della solidarietà. Politica, economia, educazione e informazione sono di conseguenza i grandi sistemi organizzativi che devono servire l’umanità e tradurre operativamente tale visione e non asservirci a criteri ostili alla nostra dignità.

Da lei ci viene l’invito a ri-scoprire parole talmente lontane da certi contesti, quali quello economico e finanziario, da esserne state totalmente bandite: nei suoi libri lei parla di una società fondata sul dono e la misericordia; parla della ri-scoperta della natura spirituale dell’Uomo.

Ci invita a nuove riflessioni su parole quali “giustizia”, “solidarietà”, “responsabilità”. Amore. Più che di eresia non sente un sentore forte di utopia? Davvero possiamo pensare di "mandare al diavolo – come ha scritto – le Borse, il prodotto interno lordo, lo spread, le agenzie di rating, la flessibilità, la competitività e tutte le trappole del Mercato?"

Mi sembra utopistico e irresponsabile credere che si possa continuare a seguire la vecchia strada delle lotte di potere, della prevaricazione, del culto del denaro e del disprezzo per l’uomo.

Realistico e fecondo è al contrario pensare altrimenti, agire con più coraggio per servire la giustizia secondo i criteri della dignità e della vita comune.

Vado al cuore del discorso: per essere concreti, oltre a una visione nuova, serve un’energia specifica a cui attingere. Ora, da dovunque essa provenga (da Dio e/o da gruppi di persone umanamente mature), la grande forza della trasformazione è la misericordia.

Non è un pietismo banale o un sentimentalismo. La misericordia è la capacità di sentire la vita degli altri, la loro sofferenza, il legame con loro e tra tutti. Perciò la misericordia è anche una forma di intelligenza: sa vedere le fatiche, il dolore, i problemi, le vittime, ma sa anche vedere le vie di liberazione. E allora la misericordia non resta ferma, si svolge come forma di azione. Azione di cambiamento delle regole e delle situazioni in modo che la persona umana torni al primo posto. Solo così capiremo che non si tratta di “uscire dalla crisi” per lasciare che altri vadano in rovina, ma si tratta di uscire insieme dalla crisi.

Quali esempi può farci di un pensiero economico che vada già incamminandosi in questa direzione? Lei scorge un agire politico che, almeno in parte, già incarni la sua "eretica" idea di società? Insomma c’è qualcuno con cui lei già condivide un tratto di strada?

Chiunque si mette in questa prospettiva nuova scopre già molti altri (singoli, comunità, movimenti, istituzioni) che si muovono da tempo nella stessa direzione. I movimenti per la democrazia partecipata, per i diritti umani, contro la globalizzazione dell’avidità e per una vera interdipendenza democratica globale, per la difesa della natura sono un esempio.

Sul piano economico, in particolare, esistono ormai diversi progetti concreti di alternativa al modello unico e soffocante del capitalismo metafisico, assoluto, che oggi si sta mangiando vive l’umanità e la natura.

Penso ad esempio ai modelli dell’economia di comunità, dell’economia di comunione, dell’economia del bene comune, dell’economia della trusteeship di matrice gandhiana e ad altri ancora. Studiarli e metterli in correlazione, avviare nuove pratiche di umanizzazione dell’agire economico: tutto ciò non solo è possibile, ma è già in cammino.
L’Uomo, a volerla seguire, è destinato ad avverare quel "grande desiderio di felicità da condividere" che tutti abbiamo nel cuore: quanto pensa sarà ancora lunga la strada della nostra evoluzione?

Non mi pongo sul terreno della previsione cronologica, ma su quello di un’indicazione esistenziale.

La strada è lunga tanto quanto ciascuno di noi può metterci a convertirsi interiormente. Alludo alla conversione dall’autocentramento alla dedizione verso altri, dall’avidità alla generosità, dall’indifferenza alla responsabilità attiva. La prima di queste dimensioni del cambiare vita è quella per cui il cuore di ognuno passa dalla disperazione (silenziosa, spesso non avvertita) all’intelligenza della speranza.

Allora comprendiamo che non siamo nati per soffrire e far soffrire, per morire e far morire, ma per trasformare l’esistenza in modo che per tutti divenga davvero un dono.

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