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In economia calma piatta, mentre il petrolio sale

Cari amici,

mentre osservo la “fragile normalità” dei mercati finanziari continuo a chiedermi quanto durerà questa “tregua armata”.

Mi sembra che gli operatori finanziari stiano fermi e in attesa, mentre i fondamentali economici ancora una volta si accrescono, minando le nostre certezze.

Il prezzo del petrolio, in questa situazione così confusa, rimane il nostro principale punto di riferimento.

Ebbene, mi sembra chiaro che il prezzo del greggio prosegue la sua lenta e costante risalita, a causa della timida fiducia degli investitori e da una leggera e costante pressione sul dollaro americano.

Questa settimana il petrolio ha superato per ben due volte la soglia degli 82,00 dollari.

Questo livello di prezzo rende insostenibili i costi per le compagnie aeree e mette sotto pressione i prezzi della benzina.

Con questi riferimenti attuali, è chiaro che se la ripresa economica dovesse accentuarsi, il prezzo del carburante schizzerebbe verso l’ alto repentinamente.

Restiamo vigili e preoccupati!

Il Sole 24 ore

La nuova, apparente normalità dei mercati finanziari si sta manifestando con un lento miglioramento degli indici sul credito, di quelli sui listini azionari e con una sostanziale stabilità delle principali valute. Ma i piccoli e spesso contraddittori movimenti dell’S&P e dello Stoxx, uniti a volumi di scambio che sono tra i più bassi da quando, oltre un anno fa, era iniziata la ripresa delle Borse, lasciano intravedere un’estrema prudenza degli investitori e forse la volontà di non prendere iniziative nemmeno per il breve-medio periodo.

I credit default swap sui debiti sovrani segnalano un forte calo di tensione: non ancora una condizione di quasi normalità, come si poteva apprezzare a inizio ottobre, ma comunque una situazione di normalità vigilata. La stessa considerazione vale per i Cds sui bond societari (a buon rating e ad alto rendimento) che hanno visto un apprezzabile ritorno delle nuove emissioni. Il dollaro, pur dopo il ribasso di ieri, è sui livelli d’inizio febbraio sull’euro e sullo yen. E le Borse hanno annullato i ribassi della correzione e sono ritornate ai massimi del 19 gennaio. Con una particolarità: i titoli bancari americani più alti di un buon 4% dai livelli in cui li aveva trovati la recentissima crisi sui debiti sovrani. E siccome i loro omologhi europei sono ancora il 7% più bassi di due mesi fa, bisogna concludere che Wall Street ha giudicato la crisi un problema prettamente europeo.

Invece, al di là della determinazione di alcuni trader che fanno la tendenza di breve periodo, c’è una grande incertezza a Wall Street: sulla forza della ripresa economica, sui tassi d’interesse e, ancora, su rischi derivanti dall’esplosione dei debiti pubblici. Per quanto riguarda l’economia non ci sono state grandi novità in settimana, data l’assenza di significativi dati macro. L’incertezza si riassume nell’andamento dell’indice (“anticipatore”) stilato dall’Ecri, che da ottobre continua a segnalare un rallentamento della crescita economica che dovrebbe rivelarsi più pronunciato a inizio estate.

Questa indeterminatezza parrebbe venir smentita dal mercato dei titoli di Stato poiché i rendimenti sono tutti in contenuta ascesa. Quelli dei Treasury decennali sono al 3,7%, appena qualche centesimo più della scorsa settimana. Ma quelli dei titoli a 12 mesi, estremamente sensibili alla politica monetaria della Fed, sono saliti allo 0,405% e segnalerebbero un primo rialzo di 25 centesimi dei tassi verso metà ottobre e un secondo (sempre di 25 centesimi) a metà gennaio. Perché la banca centrale dovrebbe rialzare i Fed Funds con un’economia che cresce poco, il mercato immobiliare in recessione e una disoccupazione che non cala? L’unica spiegazione è che gli operatori abbiano preso alla lettera le dichiarazioni di Charles Evans (Fed di Chicago), secondo il quale «un prolungato periodo di tassi bassi» equivarrebbe a 3-4 riunioni del Fomc, ossia sei mesi circa. Martedì prossimo ci sarà il prossimo incontro e forse riusciremo capire dalla criptica prosa del Fomc se ci sono novità. Infine riecco il tormento dei debiti sovrani. A snobbarne il pericolo sono semmai i trader di Wall Street, non gli economisti. Tra questi ultimi merita un accenno Mohamed El-Erian, la “mente pensante” di Pimco. Dopo aver sottolineato la «rilevanza sistemica» del fenomeno, El-Erian sostiene che «non è stata ancora valutata e compresa l’importanza dello shock provocato dalle finanze pubbliche nelle economie avanzate». Infine, avanza una profezia: «con il tempo, ne proveremo le acute conseguenze». L’apparente calma ritornata sui mercati del credito potrebbe rivelarsi illusoria. E già ieri uno studio di UniCredit e un articolo sul «Telegraph» di A. Evans-Pritchard ammonivano sui rischi della sterlina e dei titoli di Stato britannici, oggetto di un probabile attacco da parte degli investitori internazionali.
In settimana l’S&P ha rosicchiato lo 0,99% (+1,78% il Nasdaq) e lo Stoxx lo 0,5% (+1,3% Milano, +1,2% Francoforte, +0,5% Londra, +0,4% Parigi).

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