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Il tempo dell’ economia

Se, come scrive Ilya Prigogine, “è ormai tempo per nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, delle loro società, dei loro saperi e l’avventura esploratrice della natura” [1], è proprio sulla rivoluzione capitale del concetto di tempo che può radicarsi una tale metamorfosi.

Questa sovversione cognitiva si avvia grazie soprattutto alla svolta impressa alla scienza, nel XIX secolo, dal Secondo Principio della Termodinamica. È questo il momento in cui l’irreversibilità irrompe nella scienza, con la consapevolezza che l’energia si degrada sotto forma di calore: non è possibile trasformare integralmente una determinata quantità di calore in lavoro, in quanto se ne disperde sempre una parte [2]. Con l’acquisizione di questo principio esplode una rinnovata attenzione nei confronti del concetto di tempo, che non può più essere considerato lineare e reversibile, secondo la concezione classica: “Il processo di diffusione del calore, quale avviene naturalmente, è irreversibile”, e, con ciò, “entra nella fisica il concetto di direzione privilegiata degli eventi e la reversibilità” [3]. Infatti la fisica si trova costretta a promuovere a legge scientifica l’elementare circostanza che il calore si muove sempre spontaneamente da un corpo più caldo a uno più freddo.

Il concetto di tempo reale e irreversibile si rivela fondamentale nell’evoluzione intellettuale del grande intellettuale rumeno, Nicholas Georgescu-Roegen, che per primo ha applicato le leggi del vivente al processo economico, individuando nell’Entropia [4] -“la più economica di tutte le leggi naturali” [5]- il principio cardine di interpretazione della realtà umana, anche sotto il profilo economico [6]. In definitiva, per il pensatore rumeno occorre prendere atto che “the economic process is not circular, but unidirectional” [7]. E, come ha acutamente precisato Eddington, “vi è solo una legge della Natura – il secondo principio della termodinamica – che riconosce fra passato e futuro una distinzione più profonda della differenza fra più e meno” [8].

Proprio passando attraverso il Secondo Principio della Termodinamica, che introduce l’ineluttabilità della degradazione entropica, Georgescu-Roegen assumerà il concetto di tempo reale quale principale leva per scardinare i fondamenti dell’economia ortodossa. Come egli scrive, infatti, “l’economista standard non può essere accusato, né più né meno di Marx, per voler costruire le sua teoria sul modello della società capitalistica. La colpa fondamentale dell’economista standard è di un altro genere: negando la necessità di dare importanza agli aspetti evolutivi del processo economico, egli è necessariamente obbligato a predicare il dogma della validità della sua teoria per tutte le società” [9].

La critica ai fondamenti epistemologici della scienza economica ortodossa, con Georgescu-Roegen, matematico e statistico di formazione, si leva insidiosamente proprio dall’interno dell’economia stessa. Ma il grande pensatore rumeno si avvale anche dell’apporto di numerosi altri ambiti del sapere, dalla filosofia alle scienze naturali, in cui rivela un’inconsueta competenza. E, in realtà, egli elabora una vera e propria filosofia della conoscenza applicata all’economia [10]: proprio le riflessioni epistemologiche assumono un’importanza fondamentale per la formulazione della sua critica dissidente, in quanto egli ritiene che i limiti intrinsecamente espressi dalle categorie economiche tradizionali siano un portato dell’assunzione nella disciplina economica della fisica meccanicistica quale paradigma scientifico di riferimento.

È evidente, viceversa, che i fenomeni economici possono essere meglio indagati avvalendosi dell’affinità con un’altra scienza, la biologia, che introduce un nuovo atteggiamento gnoseologico: la predisposizione a indagare una realtà in continua evoluzione, incomprimibile all’interno di leggi predeterminate e necessarie. In questa prospettiva Georgescu-Roegen riporta l’economia alla sua origine biofisica: “L’approccio roegeniano – che interpreta biologicamente tutti gli aspetti del processo economico – offre una sintesi delle relazioni fra la natura e l’uomo, incentrata sulla legge dell’entropia con il suo irrevocabile mutamento qualitativo” [11]. In relazione a questo punto di vista, Georgescu-Roegen valorizza il contributo di Alfred Marshall [12], famoso economista intrappolato in un’etichetta scolastica che non rivela l’originalità del suo spostamento di attenzione dall’equilibrio al mutamento, il quale, già nei suoi Principi, aveva espresso questa intuizione: “L’economia, al pari della biologia, tratta di una materia la cui natura e costituzione interna, al pari della forma esteriore, va costantemente mutando” [13].

In particolare, lo studio dell’economia, proprio in quanto ha a oggetto lo sviluppo, il cambiamento, la crescita, non può essere affrontato con gli strumenti offerti dalla logica aritmomorfica [14], che promuove l’abuso di modelli matematici, sempre uguali a se stessi, e, quindi, costitutivamente inadeguati a interpretare l’evoluzione [15]. Infatti, giusto dall’ “attaccamento indiscriminato al dogma meccanicistico, in forma esplicita o tacita, è derivata la concezione del processo economico come modello meccanico consistente – proprio come tutti gli analoghi processi meccanici – in un principio di conservazione (trasformazione) e in una regola di massimizzazione. La scienza economica viene così ridotta a una cinematica atemporale” [16].

Viceversa, l’economia non può in realtà in alcun modo emanciparsi dalla sua strutturale storicità, pertanto quell’impostazione meccanicistica mutuata dalla fisica classica ne decreta un divorzio dalla storia che la condanna insieme a una difficile, ma inevitabile, convivenza con la stessa [17]. In tal senso, il progetto di tradurre l’economia in un corpus di leggi trans-storiche e immutabili, in una “fisica sociale”, veicolato dalla Modernità con il suo invadente paradigma scientifico meccanicista, rivela una contraddizione insormontabile, insita nella pretesa assurda di disciplinare l’alea degli avvenimenti, la contingenza delle istituzioni, la complessità psicologica degli attori, ontologicamente inerenti alla sfera economica in quanto sociale e umana, con modelli ultra-semplificati che mal si attagliano al fluire della vita reale [18].

Georgescu-Roegen individua pertanto la debolezza epistemologica del meccanicismo classico in quell’egemonia del quantitativo che si traduce in un sonno aritmomorfico, affetta da una totale incapacità di spiegare ogni fenomeno evolutivo, compreso quello del sistema economico. Alcuni concetti non sono, infatti, intelligibili se non attraverso l’accesso al fenomeno del cambiamento qualitativo, in quanto essi appunto non sono, ma divengono [19].

Nel pensiero di Georgescu-Roegen si profila, in questa prospettiva, la centralità del concetto di tempo allo scopo di avviare una svolta paradigmatica. E, in realtà, la concezione moderna di un mondo immobilizzato una volta per tutte all’interno di uno schema matematico onnicomprensivo, in definitiva, non può resistere all’urto provocato, in particolare, dalla formulazione del Secondo Principio della Termodinamica. Questa è, in breve, la genesi della dissidenza di Georgescu-Roegen nei confronti del modello di pensiero occidentale, che lo porta a concentrare ogni suo sforzo in direzione dell’ indagine sul nesso profondo tra legge di entropia e processo economico. E, come si è visto, tra le principali ragioni del suo interesse alla problematica dell’entropia c’è l’ansia di mostrare la rilevanza e le peculiarità della nozione di tempo storico nell’attività economica [20].

Per sottolineare l’incidenza dell’ingresso della legge di entropia nella scienza, in termini di valorizzazione del cambiamento evolutivo attraverso la reintegrazione del tempo storico nella natura, scrive lo stesso Georgescu-Roegen: “Forse nessun’altra legge come quella dell’entropia occupa una posizione così singolare nella scienza. È la sola legge naturale che riconosca che anche l’universo materiale è soggetto a un cambiamento qualitativo irreversibile, a un processo evolutivo, il che ha portato alcuni scienziati e filosofi a supporre che esista un’affinità fra tale legge e i fenomeni riguardanti la vita. Ormai ben pochi negherebbero che l’economia di qualunque processo vitale sia regolata non dalle leggi della meccanica, ma dalle leggi dell’entropia, e questo, come adesso vedremo, è particolarmente evidente nel caso del processo economico” [21].

Probabilmente Georgescu-Roegen contribuisce proprio a rivelare la possibilità di una riconciliazione tra uomo e natura [22]. In verità, infatti, la prospettiva bioeconomica offerta dal pensatore rumeno costituisce indiscutibilmente “una chiara sfida intellettuale contro la teoria economica dominante che, per il suo fondamento meccanicistico, continua a ignorare tutti quei fenomeni legati al passaggio del tempo come durata” [23], rinnegando in tal modo l’origine biofisica dell’economia, quale emergenza all’interno del fenomeno coevolutivo uomo-natura.

Le sue considerazioni, peraltro, risultano appunto perfettamente coerenti con la temperie culturale in cui egli si trova a operare: proprio nel corso del XX secolo, alla luce della rivoluzionaria svolta in direzione storicistica e organicistica nella concezione della natura, dovuta a scienziati come Ilya Prigogine [24] e James Lovelock [25], ci si può affacciare con una ben più ampia e onesta prospettiva intellettuale sulle riflessioni di un autore come Georgescu-Roegen, che, anche su questo tema, è stato protagonista di straordinarie intuizioni.

L’inadeguatezza della concezione meccanica del tempo nel confronto con i fenomeni reali, connessi alla vita26, è accuratamente affrontata da Georgescu-Roegen avvalendosi delle intuizioni di due grandi pensatori che hanno “sottolineato le insufficienze dello schema teorico nato dalla scienza del XVII secolo” [27]: Alfred North Whitehead e Henri Bergson [28]. E, in verità, nella prospettiva di Prigogine, appunto, “Bergson, insieme ad Hegel e Whitehead, costituisce uno dei presupposti filosofici del nuovo modo di considerare la scienza come conoscenza dei fenomeni complessi, in quanto egli ha storicizzato e individuato i limiti della concezione del tempo della scienza classica, la quale riteneva il suo modo di impostare il problema del tempo universale e definitivo” [29].

Inoltre, se Whitehead “ha centrato tutto il suo sistema filosofico sulla differenza essenziale fra il continuo del mondo e quello della matematica”, emerge chiaramente dai suoi scritti che “il tempo costituisce la base migliore per illustrare questo punto” [30]. Egli ritiene infatti che il compito del pensiero filosofico sia, in breve, l’impegno di conciliare la permanenza col divenire, per accedere all’individualità storica dei singoli enti processuali [31]. Tuttavia, come ci ricorda ancora Georgescu-Roegen, già Aristotele aveva sostenuto che il tempo non è fatto di istanti puntiformi in successione come i punti di una retta [32].

Così, lo stesso Bergson, aveva già intuito la necessità del superamento della posizione riduzionista nell’interpretazione del tempo. Secondo le sue stesse parole, “già nell’ambito stesso della fisica, gli scienziati che spingono più lontano l’approfondimento della loro scienza sono inclini a credere che non si possa ragionare sulle parti come si ragiona sul tutto, che non si possono applicare gli stessi principi all’origine e all’esito di un processo, che né la creazione né l’annientamento siano, per esempio, inammissibili quando si tratta dei corpuscoli costitutivi dell’atomo. In tal modo essi tendono a collocarsi all’interno della durata concreta, la sola in cui ci sia generazione e non soltanto composizione di parti.

È vero che la creazione e l’annientamento di cui parlano si riferiscono al movimento o all’energia, e non all’imponderabile mezzo attraverso il quale energia e movimento circolerebbero. Ma cosa può restare della materia quando se ne elimina tutto ciò che la determina, ovvero, appunto, l’energia e il movimento? Il filosofo deve spingersi più in là dello scienziato. Dopo aver fatto tabula rasa di ciò che è soltanto un simbolo dell’immaginazione, egli vedrà il mondo naturale dissolversi in un semplice fluire, in uno scorrere continuo, in un divenire. E si preparerà così a ritrovare la durata reale là dove è ancora più utile ritrovarla, nell’ambito della vita e della coscienza” [33].

Per Bergson, dunque, gli istanti aritmomorfi in cui la scienza scompone il tempo, in quanto privi di durata, non sono in grado di spiegare i fenomeni evolutivi [34]: la vita si estrinseca in una continua progressione creativa, della quale “l’intelligenza può cogliere soltanto ciò che essa può immobilizzare sotto forma di elementi manipolabili e calcolabili” [35]. Infatti, secondo il filosofo francese, “per l’essere umano il tempo non è un rapporto numerico, dove la reale consistenza dei termini non abbia importanza” [36].

Ne L’evoluzione creatrice, Bergson affronta pertanto in maniera rivoluzionaria il problema del tempo, e infatti specifica: “Quando la scienza positiva parla del tempo, si riferisce al movimento di un certo mobile T lungo la sua traiettoria. Questo movimento è stato da essa scelto come rappresentativo del tempo, ed è uniforme per definizione. Chiamiamo T1, T2, T3, … ecc. dei punti che dividono la traiettoria del mobile in parti uguali a partire dalla sua origine T0. Si dirà che sono trascorse 1,2,3, …, unità di tempo quando il mobile si troverà nei punti T1, T2, T3, …, della linea che percorre. Quindi, considerare lo stato dell’universo al termine di un tempo t, significa esaminare la situazione in cui si troverà quando il mobile T sarà nel punto T, della sua traiettoria. Ma in questo caso, il fluire stesso del tempo, e a maggior ragione il suo effetto sulla coscienza, sono del tutto fuori questione; vengono infatti qui considerati solo dei punti T1, T2, T3, …, presi sul fluire, ma mai il fluire stesso. Si può ridurre quanto si vuole il tempo considerato, ovvero scomporre a volontà l’intervallo tra due divisioni consecutive Tn e Tn+1, ma avremo sempre a che fare con dei punti, e solo con dei punti” 37.

In realtà, già Bergson aveva in definitiva intuito l’inadeguatezza del concetto di tempo meccanico [38] rispetto alla possibilità di accedere alla realtà del mutamento qualitativo: nella sua accezione di variabile indipendente, secondo l’aspirazione della scienza moderna, infatti, il tempo può essere suddiviso a piacimento in infiniti istanti, tutti equivalenti, senza articolazioni singolari che li qualifichino [39].

Proprio la difficoltà generata dall’impossibilità della scienza di affrontare adeguatamente il problema del cambiamento innesca, dunque, l’indagine sul concetto di tempo: la sua interpretazione spazializzata, come un succedersi di punti separati su una retta, come si è visto, compromette infatti ogni possibile accesso al divenire come fenomeno onnipresente nella realtà. Georgescu-Roegen riflette dettagliatamente sulla durata come concetto dialettico in un lungo e decisivo passaggio: “Il fatto fondamentale della natura, il divenire di Bergson o l’evento di Whitehead, implica una durata come un’estensione temporale. Ma ‘la durata immediata non è delimitata in modo chiaro per la nostra comprensione’. Essa è piuttosto uno ‘spessore ondeggiante’ fra il passato rievocato e il futuro anticipato. Così il tempo nel quale noi comprendiamo la natura non è ‘una semplice serie lineare di istanti privi di durata come certe proprietà matematiche di continuità seriale (aritmetica)’, ma una seriazione sui generis di durate. Le durate non hanno né un’estensione minima né un’estensione massima. Inoltre esse non si susseguono esternamente, ma si compenetrano l’un l’altra, poiché gli eventi stessi si ‘interfondono’. Nessuna durata è distinta in modo discreto da quella che la precede o la segue, così come nessun evento può essere isolato completamente dagli altri: ‘un evento isolato non è un evento’. Le durate si sovrappongono e gli eventi si sovrappongono in una caratteristica complessità che Whitehead tentò, con relativo successo, di analizzare attraverso il concetto di astrazione estensiva e di classi astrattive. Tuttavia, tutto ciò che egli dice con termini ‘vaghi’ non lascia dubbi che sia la ‘durata’ che ‘l’evento’, nel senso datogli da Whitehead, siano concetti circondati da penombre dialettiche [40], nel nostro senso” [41].

Georgescu-Roegen sottolinea, in merito, la contiguità della posizione di Whitehead a quella di Hegel rispetto all’opposizione fra Cambiamento e struttura aritmomorfica. Egli scrive: “Forse in nessun altro punto Hegel espone più chiaramente il suo pensiero sull’argomento che nel brano seguente: ‘Il numero è quella caratteristica completamente inattiva, inerte e indifferente in cui si estingue ogni movimento e processo relazionale’” [42]. In realtà, continua Georgescu-Roegen, “Hegel non intese provare niente di diverso dalla opinione di Whitehead, cioè che nessuna scienza può ‘pretendere di essere fondata sull’osservazione’ se insiste nel sostenere che i fatti fondamentali della natura ‘devono essere trovati in istanti di tempo privi di durata’” [43]. Del resto, è stato giustamente osservato che, ne Il processo e la realtà, Whitehead matura una vera e propria concezione storicistica [44].

Secondo Georgescu-Roegen, in breve, non si può operare, se non artificiosamente, una separazione dicotomica fra oggetto ed evento, in quanto il rapporto fra questi due concetti è dialettico. Infatti, egli emblematicamente si domanda: “Ma allora, perché dovremmo distinguere fra oggetto, ossia Essere, e evento, ossia Divenire?” [45]. L’esperienza concreta esibisce invero una tale complessità e articolazione che è impossibile, in definitiva, sottrarsi al confronto con i limiti di un atteggiamento dicotomico. Di conseguenza, “alla fine, noi confermiamo ciò che sapevamo già da tanto, cioè che il dualismo è pieno di intoppi” [46]. Da qui, Georgescu-Roegen si avvia all’inevitabile conclusione: “L’unica via d’uscita è di riconoscere che la distinzione fra oggetto e evento non è discreta, ma dialettica, e probabilmente questo è anche il messaggio di Whitehead” [47].

Com’è noto, la filosofia, in origine, scelse di non affrontare il problema del divenire [48], ma lo aggirò, attribuendo natura reale solo al cambiamento come movimento [49], e riducendo a mera apparenza il cambiamento di natura [50]. Alla luce di un’attenta analisi, la riduzione delle quattro cause aristoteliche dei fenomeni alla sola causa efficiens rappresenta, in effetti, il vero e proprio “atto di nascita” del meccanicismo [51]. Lo stesso Georgescu-Roegen specifica, che “la meccanica distingue solo massa, velocità e posizione, e su di esse basa il concetto di energia cinetica e di energia potenziale, riducendo quindi qualsiasi processo a una locomozione e a un cambiamento della distribuzione dell’energia” [52]. Tuttavia, di recente è stata resa giustizia alla distinzione aristotelica fra cambiamento di luogo e cambiamento di natura, in quanto è emerso che “la qualità è un attributo primario della materia elementare, e non è più possibile ridurla al movimento”: “Le recenti scoperte di una particella intra-atomica dopo l’altra, tutte diverse qualitativamente, hanno spogliato l’atomismo monistico di ogni interesse epistemologico” [53].

Georgescu-Roegen è particolarmente incisivo nell’introdurre questa problematica attraverso una attenta prospettiva storica, con cui si impegna a risalire alle origini del disagio del pensiero occidentale nei confronti del cambiamento: “La filosofia greca cominciò col chiedersi per quali cause le cose cambiano. Ma la considerazione del Cambiamento sollevò presto il problema epistemologico più arduo di tutti. Com’è possibile la conoscenza se le cose cambiano continuamente, se, come affermava Eraclito l’oscuro, ‘non è possibile entrare due volte nello stesso fiume?’. Da allora ci siamo trovati a lottare col problema di che cosa è lo stesso nel fluire del mondo. Che cos’è lo ‘stesso’, per esempio, in un vapore di sodio che, all’aumentare della temperatura, passa dal violetto al giallo acceso, o in un bicchier d’acqua che evapora continuamente? Se a soddisfarci basta l’argomento della continuità nel tempo della cosa osservata”, conclude provocatoriamente l’autore, “allora dobbiamo necessariamente accettare come perfettamente scientifico il procedimento con cui il Lamaismo decide chi è lo stesso Dalai Lama attraverso la morte e la nascita” [54].

In ogni caso, occultare l’esigenza di confrontarsi con la problematica del divenire non è una soluzione, in quanto, in realtà, le organizzazioni sociali, politiche, economiche, in cui si articola la vita dell’uomo, rappresentano degli organismi in continua evoluzione nello spazio e nel tempo, e, quindi, la loro considerazione esige un’inevitabile attenzione verso il cambiamento. Invero, ignorare la loro natura dialettica avrebbe significato di fatto condannare all’estinzione l’intera specie umana [55]: la realtà è infatti un processo continuo, privo di giunture in corrispondenza delle quali possano individuarsi i confini netti di un oggetto, in quanto separato da un altro.

In effetti, un oggetto consiste puramente in un fenomeno ripetibile solo mediante un’operazione di artificiosa astrazione dal tempo. Ma bisogna accettare che l’identità in senso assoluto, come riferita alla medesima circostanza, non esiste se non come “faccenda interna a una mente singola”; questo perché, in realtà, i fenomeni naturali non possono essere ridotti a “semplici registrazioni di segnali”, ma va piuttosto riconosciuto alla mente un ruolo diretto “come strumento d’osservazione indispensabile al pari di qualsiasi strumento fisico” [56]. Poiché non esistono punti di vista assoluti, in qualche modo “l’osservatore sa di portare con sé il ‘peccato originale’ della sua limitatezza. Ma immergersi in essa è l’unico strumento per raggiungere l’intersoggettività” [57]. La sua storicità rappresenta al contempo la sua opportunità gnoseologica.

La considerazione del ruolo assunto dalla storia nelle molteplici declinazioni inerenti alla dimensione umana, evidentemente, imprime una direzione indiscutibilmente evoluzionistica e storicistica alla epistemologia di Georgescu-Roegen, decretandone il carattere sovversivo rispetto al paradigma meccanicistico classico e al determinismo ancora imperante [58]. La maturazione intellettuale di una simile prospettiva consente dunque a Georgescu-Roegen di individuare, proprio nella termodinamica, come si è visto, l’apertura gnoseologica contenente lo snodo del problema relativo all’inadeguatezza della scienza classica ad affrontare il dilemma del cambiamento: incidendo rivoluzionariamente giusto sull’ interpretazione del concetto di tempo, essa produsse, infatti, uno sconvolgente effetto. Ancora una volta Georgescu-Roegen insiste nel sottolineare il ruolo giocato in tutta questa vicenda dal tempo, e infatti commenta: “Breve com’è, la parola Tempo denota una nozione di estrema complessità” [59], che non può essere definitivamente intrappolata nella schematizzazione aritmomorfica, se non a meri e limitati fini di efficacia euristica [60].

In definitiva, come chiarisce ancora Georgescu-Roegen, “l’ammissione apparentemente innocua che il principio secondo cui ‘il calore si muove sempre spontaneamente dal corpo più caldo al più freddo’ è una legge fisica, scatenò una delle più gravi crisi della fisica, che nemmeno oggi è completamente risolta. La crisi nacque dal fatto che la meccanica non può render ragione del movimento unidirezionale del calore, perché secondo la meccanica ogni movimento deve essere reversibile. La terra, per esempio, potrebbe benissimo muoversi nella sua orbita nella direzione opposta senza contraddire nessuna legge meccanica. È ovvio che questa proprietà dei fenomeni meccanici corrisponde al fatto che le equazioni della meccanica sono invarianti rispetto al segno della variabile t, che indica il ‘tempo’. Questo condusse all’idea che in realtà ci siano due Tempi: un Tempo reversibile in cui si svolgono i fenomeni meccanici, e uno irreversibile correlato ai fenomeni termodinamici. Ovviamente questa dualità è assurda. Il Tempo si muove solo in avanti, e tutti i fenomeni si svolgono nello stesso unico Tempo” [61].

Per affrontare questa crisi, “fu necessario creare un nuovo ramo della fisica che si servisse di leggi non meccaniche”, in quanto, appunto, “le leggi della meccanica non possono rendere conto di un movimento unidirezionale” [62]. Infatti, se a causa della differenza di temperatura fra due corpi si genera un flusso spontaneo di calore dal corpo più caldo a quello più freddo, fino al raggiungimento dell’equilibrio termico, una volta prodotto l’effetto, non è più possibile risalire alla causa, come accade nella meccanica classica: quando i due corpi hanno raggiunto la stessa temperatura, si è verificato un evento irreversibile, cioè il processo di diffusione del calore, e, quindi, il concetto di direzione privilegiata degli eventi, di irreversibilità, è subentrato a quello, classico, di reversibilità.

A ben vedere, la termodinamica propone, allora, due diverse lezioni: “Quella dell’energia che non si può né creare né distruggere, caratterizzata com’è dalla sua conservazione e quella dell’entropia in continua crescita, che scandisce le ore dell’orologio cosmico ricordando che nelle azioni dell’uomo, oltre all’energia-materia, c’è il tempo e che il futuro è distinto dal passato, caratterizzato com’è da un valore più grande di S” [63]. Georgescu-Roegen, dunque, a partire dalla consapevolezza acquisita grazie all’evidenza fenomenologicamente temporale della degradazione entropica, può coerentemente denunciare l’equivoco insinuato dalla scienza classica in ordine all’interpretazione del concetto di tempo come entità lineare, misurabile e spazializzata, percorribile indifferentemente in ogni direzione: “Dietro l’idea della dualità del tempo, c’è la confusione fra i concetti che ho indicato con T e t, confusione indotta dalla pratica di usare per entrambi lo stesso termine ‘tempo’. In realtà, T rappresenta il Tempo considerato come il fluire della coscienza, o, se preferite, come una successione continua di momenti, mentre t rappresenta la misura, per mezzo di un orologio meccanico, di un intervallo ( T’, T’’)” [64].

Egli intende allora sottolineare che, per quanto il Tempo sia uno solo, e si muova in modo unidirezionale, tuttavia, la scienza formula, in effetti, le sue leggi avendo riguardo al tempo come fluire della coscienza oppure al tempo come successione indifferenziata di momenti, a seconda del tipo di eventi che intende indagare. E, infatti, “il modo in cui un pendolo si muove o una pietra cade è sempre lo stesso, indipendentemente da quando l’evento si è verificato nel Tempo. Le leggi meccaniche sono funzione soltanto di t, e perciò sono invariabili rispetto al Tempo. In altri termini, i fenomeni meccanici sono a-Temporali” [65], ovvero, nell’emblematica espressione inglese, “are Timeless, but not timeless” [66]. Viceversa, i fenomeni del mondo reale hanno una collocazione univoca rispetto alla nostra percezione cosciente del fluire del tempo. Pertanto, “la ragione della capacità di previsione delle leggi temporali della fisica è il fatto che esse sono funzioni di t, ossia della misura degli intervalli temporali per mezzo di un orologio meccanico” [67].

In un precedente passaggio, l’autore ancora specifica: “L’esigenza di una distinzione fra i due concetti è dovuta alla differenza essenziale fra le leggi temporali che sono funzioni di T e quelle che sono funzioni di t. Se ci capita di vedere un film delle giungle paludose piene di dinosauri, sappiamo che l’evento raffigurato si svolse prima, poniamo, della fondazione di Roma. Il motivo addotto in questo caso è che la legge che governa simili eventi, ammesso che ce ne sia una, è una funzione di T, come la Legge di Entropia. Al contrario, un film di un fenomeno puramente meccanico non ci aiuta punto a collocarlo nel Tempo” [68].

Diventa evidente, a questo punto, perché la termodinamica, che si misura con fenomeni reali, non può offrire un potere di previsione dello stesso genere della fisica meccanica; essa può solo affermare che “fra un’ora l’entropia dell’universo sarà maggiore di adesso, ma non di quanto” [69]. A tal proposito, scrive Georgescu-Roegen: “I fenomeni reali si muovono in una direzione precisa e implicano cambiamenti qualitativi. È questa la lezione della termodinamica, una branca della fisica così particolare che i fisici puristi, data la sua struttura antropomorfica, preferiscono non considerarla parte di quella scienza. Anche se è difficile capire come la struttura fondamentale di qualsiasi scienza possa non essere antropomorfica, il caso della termodinamica è unico” [70].

Nella prospettiva fenomenologica, rileva ancora il pensatore rumeno, l’ammissione formulata dalla scienza classica della possibilità di un’inversione della vita mediante l’applicazione di leggi meccaniche è, paradossalmente, del tutto assurda in base all’esperienza comune della mente umana, e provoca, a ben vedere, un certo disagio intellettuale. Secondo le parole dello scienziato stesso, infatti, “alla mente ordinaria la millenaria esperienza che la vita procede sempre in una sola direzione basta a dimostrarne l’irreversibilità, ma non è così per la scienza” [71]. E, invero, l’esistenza di una direzione del tempo è innegabilmente un concetto originario per la mente umana, ma anche un prerequisito connesso a ogni forma di vita, giusta le parole di Prigogine quando afferma che “non si può dedurre la distinzione fra futuro e passato da leggi orarie reversibili” [72]. In un certo qual modo, allora, la termodinamica classica opera una riconciliazione fra la logica scientifica e quella dell’esperienza comune.

La direzione espressa spontaneamente dagli eventi, pertanto, è quella che va dall’ordine al disordine, e l’entropia, quindi, coniuga insieme disordine e probabilità [73 ]. Se, come è vero, “l’epistemologia della complessità indica all’economia due strade maestre: quella del tempo evolutivo e quella del ruolo della qualità e della bellezza per dare una svolta al concetto stesso di sviluppo” [74], questa breve incursione nell’articolato itinerario intellettuale di Georgescu-Roegen offre sicura testimonianza di come proprio le sue riflessioni interpretino una tappa imprescindibile per l’apertura di un nuovo orizzonte di senso, in direzione dell’ormai inevitabile complessificazione dell’approccio gnoseologico alla disciplina economica.

Maria Laura Giacobello
Dipartimento di Filosofia
Università di Messina

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