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Di chi è il portone d’ingresso?

Di chi è il portone d’ingresso? Se gli atti non dicono nulla è condominiale

Avv. Alessandro Gallucci scrive…

Un edificio è composto da più unità immobiliari appartenenti ad una sola persona. Questi decide di dividerlo, domando le unità immobiliari, in proprietà esclusiva, ai suoi figli.

E’ l’atto di divisione, vale la pena ricordarlo, che in questo caso sancisce la nascita del condominio.

La giurisprudenza, infatti, è costante nell’affermare che “il condominio sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l’originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell’edificio” (così Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829).

Alla vendita da parte dell’originario costruttore può essere senza ombra di dubbio equiparato l’atto di divisione di cui abbiamo parlato in precedenza. In questo caso, infatti, le unità immobiliari divengono di proprietà esclusiva e le parti comuni ad esse – ossia quelle indicate dall’art. 1117 c.c. e tutte le altre accessorie e comunque indicate dall’atto di divisione – oggetto di condominio tra i proprietari delle prime.

Torniamo al racconto del caso che, per dissidi tra i figli, ha portato la Cassazione a pronunciarsi con la sentenza n. 822 del 16 gennaio 2014.

Nella sostanza uno degli eredi aveva impedito all’altro l’accesso alle unità immobiliari per il tramite di un portone d’ingresso sostituendo la serratura.

Questo fatto ha dato il là da una controversia giunta finto ai giudici di piazza Cavour.

In breve: il condomino cui era stato impedito l’accesso reclamava la condominialità di quell’accesso e quindi la cessazione dell’impedimento. L’altro condomino, invece, riteneva che dall’atto di divisione (e quindi da titolo costitutivo del condominio) si potesse desumere che quel portone fosse stato escluso dal condominio nell’edificio.

In primo grado il condomino attore vedeva accolte le proprie doglianze; in appello, però, si giungeva all’opposta conclusione, ossia si statuiva la non condominialità del portone. Da qui il ricorso in Cassazione. Ricorso accolto.

Il portone d’ingresso è un bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. e l’atto di divisione, in questo caso, non era affatto chiaro come affermato dalla Corte d’appello, ma, al contrario, poteva portare ad opposte conclusioni.

Si legge in sentenza che “la presunzione di condominialità di siffatti beni ex art. 1117 c.c. deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune; ne consegue che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova rigorosa di tale diritto in modo da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002)” (Cass. 16 gennaio 2014, n. 822).

Nel caso di specie, s’è detto, mancava proprio tale inequivocabilità.

Non solo. Chi, come nel caso di specie, agisce per tutelare la proprietà di un bene condominiale e non per rivendicarla, vede il proprio carico probatorio alleggerito. "Per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ. – si legge nella pronuncia in esame – non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova (Cass. 2, Sentenza n. 15372 del 01/12/2000; Sentenza n. 6175 del 13/03/2009; 2, Sentenza n. 17993 del 02/08/2010)” (Cass. 16 gennaio 2014, n. 822).
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