Go to Top

A quando l’infermiere di condominio?

A quando l’infermiere di condominio?

Immagine

E se bastasse l’infermiere di condominio per risolvere molti dei problemi della sanità del terzo millennio? L’interrogativo è meno peregrino di quel che si potrebbe pensare. E forse in qualche modo aleggiava, inespresso, all’incontro con i media che giovedì 5 marzo a Roma ha preceduto l’apertura del XVII Congresso nazionale della Federazione dei Collegi Ipasvi, cioè la rappresentanza professionale degli infermieri, nel corso del quale sono stati presentati i dati di una ricerca del Censis su Infermieri e nuova sanità: opportunità occupazionali e di upgrading. Le prestazioni infermieristiche nella domanda di assistenza sul territorio.

Le cifre di un fenomeno

Il fatto è che, stando alla ricerca, sono 8.700.000 gli italiani che nel 2014 hanno usufruito di prestazioni di assistenza infermieristica erogate privatamente, pagando di tasca propria 2,7 miliardi di euro. Di questi, 6.900.000 hanno chiesto prestazioni una tantum, mentre 2.300.000 hanno avuto necessità di prestazioni continuative. Ad aver bisogno di un’assistenza che il Servizio sanitario nazionale non ha saputo o potuto garantire (e quindi a sottostare a una sorta di “imposta mascherata”) sono stati il 44,4% dei non autosufficienti (1.400.000 persone), il 30,7% dei malati cronici (2.800.000) e il 25,7% degli ultrasettantenni (2.300.000). Le prestazioni maggiormente richieste sono state le iniezioni (58,4%), le perfusioni, le infusioni o le flebo (33,1%), l’assistenza in generale (24,5%), le medicazioni e i bendaggi (24,4%), l’assistenza notturna (22,8%).

Il fatto è che, secondo la ricerca, la necessità per le famiglie di contenere le spese (giudicata sottostimata dagli autori dell’indagine per una fetta consistente di prestazioni che sicuramente, per colpa della crisi economica, sono richieste “in nero” dai cittadini agli stessi operatori) e la propensione a ricorrere a figure professionali non infermieristiche alimenta il fenomeno dell’inappropriatezza delle prestazioni. Oltre 4.200.000 italiani nei dodici mesi precedenti l’intervista del Censis si sono rivolti a figure non infermieristiche (badanti, familiari, conoscenti e così via) per prestazioni di tipo sanitario; lo hanno fatto per varie ragioni: la fiducia nella persona cui si fa ricorso (42%), il costo eccessivo di un infermiere (33,7%), la convinzione che per alcune prestazioni l’infermiere non sia indispensabile (31,5%). La maggioranza si dichiara tutto sommato soddisfatta delle prestazioni avute e giudica gli eventuali danni subiti “residuali”.

Badanti di condominio

Tra coloro a cui si è fatto ricorso, le badanti sono una figura emblematica. E se in alcune Regioni sono stati avviati progetti per affidare loro l’assistenza (non sanitaria) di interi condomini (dopo adeguata formazione), l’indagine Censis ha evidenziato che nelle case italiane in cui lavorano, le badanti gestiscono terapie farmacologiche (88,8%), fanno iniezioni (32,3%), si occupano di eventuali bendaggi e medicamenti (30,4%), intervengono in caso di esigenze sanitarie che di solito richiedono il ricorso a infermieri (20,5%) e gestiscono un catetere (6,2%). Più della metà (il 51,5%) delle persone che impiegano una badante ritengono che sia capace di svolgere prestazioni infermieristiche e il 30,6% la considera in grado di intervenire in caso di emergenze sanitarie. Il 51% degli italiani che ricorre alla badante per prestazioni sanitarie lo fa perché pagare un infermiere in modo continuativo è troppo costoso. Per il 50,9% degli italiani esistono prestazioni semplici (iniezioni o medicazioni) per cui l’infermiere non è indispensabile. Il dato è più elevato tra gli anziani (55,4%), che sono i principali consumatori di prestazioni infermieristiche.

Il fenomeno della “badante pseudoinfermiera” affonda le radici, oltre che nelle cause di tipo economico riscontrate, anche il quel «substrato culturale» descritto da Carla Collicelli, vicedirettore generale del Censis, per il quale da una parte la famiglia ha una «insufficiente consapevolezza dell’importanza della professionalità» che richiederebbero le prestazioni di tipo sanitario e, dall’altra parte, gli infermieri sono scarsamente propensi a operare e impegnarsi nel privato, considerato «un ripiego in attesa del posto fisso», meglio se pubblico.

Il paradosso infermieristico

In poche parole: ci sono meno infermieri di quelli che servirebbero, ma la domanda crescente di questa figura non riesce a incontrarsi con l’offerta, così creando disoccupazione e sottoccupazione. Per dirla in altro modo, dall’indagine Censis emerge che il numero di persone che hanno pagato direttamente di tasca propria è teoricamente ancora molto al di sotto del fabbisogno potenziale di prestazioni sul territorio e a domicilio; ma, nonostante ciò, sono evidenti situazioni di disoccupazione e sottoccupazione di infermieri, che per lavorare spesso si rivolgono a strutture private profit con la conseguenza di ottenere remunerazioni anche molto basse, ma a tariffe tutto sommato elevate per i cittadini. Non per niente il 25,4% degli italiani ha difficoltà a trovare un infermiere privato sul territorio in cui vive e molti ricorrono all’intermediazione di reti informali, parenti, amici e conoscenti.

La colpa di questa situazione è anche del blocco delle assunzioni nel pubblico, che, secondo la ricerca Censis, chiuderebbe molti sbocchi per gli infermieri. «La crisi economica ha danneggiato i cittadini, ma anche diversi settori come quello infermieristico, spingendo verso un blocco del turn-over» commenta Collicelli. Perciò, secondo il vicedirettore dell’istituto di ricerche «bisognerebbe rafforzare la cultura imprenditoriale» e se «da un lato le strutture sanitarie pubbliche per prime dovrebbero attivarsi al fine di favorire la continuità assistenziale post-ricovero, dall’altro gli infermieri devono iniziare a far propria l’idea dell’esercizio libero professionale sul territorio che può aprire importanti sbocchi lavorativi e soddisfare la grande domanda».

E, magari, cominciare tutti a riflettere che, oltre alla badante, potrebbe essere utile anche un “infermiere di condominio” capace di assumersi la responsabilità di quelle prestazioni oggi impropriamente affidate proprio alle badanti.

«Dovremmo intervenire nel settore – commenta dal canto suo Annalisa Silvestro, presidente della Federazione Ipasvi – per scongiurare quegli atteggiamenti a cui gli assistiti sono costretti per soddisfare il proprio bisogno di assistenza e per evitare che i nostri professionisti si trovino in situazioni di disagio e opacità lavorativa».

D’altronde, osserva ancora Silvestro, «che l’assistenza sul territorio sia carente e inevasa appare chiaro anche dai dati sull’applicazione del nuovo Patto per la salute, così come è evidente al contrario la necessità dei cittadini che questa decolli. Credo sia nostro compito intervenire. Non solo per ridare appropriatezza e continuità alle prestazioni infermieristiche, ma anche per mettere in sicurezza il cittadino nei casi in cui ricorre a persone al di fuori della professione». Per Silvestro (che è anche senatrice Pd in forza alla Commissione Sanità di Palazzo Madama), «potremmo coinvolgere il Parlamento per una proposta di legge che defiscalizzi le prestazioni assistenziali sanitarie se effettuate da infermieri e le Aziende sanitarie perché inseriscano e mantengano strutturalmente nel territorio infermieri educatori per informare, educare e addestrare i familiari o i loro sostituti a un accudimento informato, corretto e sicuro dei loro cari. In questo modo – conclude – si potranno sostenere concretamente e rapidamente le tante famiglie italiane in difficoltà».
http://www.healthdesk.it/sanit/a_quando … 1425589988

Lascia un commento