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Targhe e insegne private affisse nel condominio

Targhe e insegne private affisse nel condominio

Ciascun condòmino può servirsi delle parti comuni dell’edificio, purché non ne alteri la funzione cui sono destinate e non impedisca agli altri condòmini di farne parimenti uso secondo il loro diritto [1].

In applicazione di tale principio, ciascun condòmino può servirsi dei muri perimetrali dell’edificio condominiale per apporvi targhe o insegne che diano risalto pubblicitario all’attività professionale o commerciale esercitata. L’apposizione di targhe e insegne non altera la funzione di sostegno dell’edificio svolta dal muro perimetrale e costituisce un normale esercizio del diritto di usare la cosa comune [2].

Tuttavia, il regolamento condominiale di tipo contrattuale può porre dei precisi limiti ai condòmini nell’utilizzo delle parti comuni del palazzo e, quindi, può anche vietare l’apposizione di insegne, targhe e simili sulle facciate o rendere necessario il consenso dell’assemblea condominiale [3].

Si è in presenza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale in due distinte ipotesi:

– quando il regolamento è predisposto dal costruttore dell’edificio ed espressamente richiamato negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari;
– quando il regolamento è approvato dai condòmini all’unanimità.

Il regolamento condominiale contrattuale si differenzia dal regolamento di condominio ordinario [4] poiché consente di limitare i diritti dei singoli condòmini sulle rispettive proprietà e sulle parti comuni dell’edificio, e di attribuire maggiori diritti a uno o più condòmini.

Tutto ciò premesso, in riferimento al caso specifico, l’affissione dell’insegna su un muro esterno dell’edificio difficilmente può essere fatta rientrare nel concetto di innovazione. Per innovazione si intendono quelle modifiche che comportino un’alterazione sostanziale o il mutamento della originaria destinazione d’uso, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale o vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti [5].

Per questi motivi, nonostante l’insegna muti l’aspetto della facciata, la sua affissione non può essere considerata come innovazione ma come semplice utilizzo delle parti comuni dell’edificio.

Alla luce di quanto sopra descritto, le possibilità di richiedere la rimozione dell’insegna dell’esercizio commerciale transitano attraverso una serie di verifiche:

– verificare che il proprio regolamento condominiale sia di tipo contrattuale. In caso di esito positivo, è necessario capire se nel regolamento è stabilito che l’installazione di targhe, insegne e simili sui muri perimetrali del palazzo è vietata o che è subordinata all’autorizzazione dell’assemblea. Se il regolamento condominiale non è di tipo contrattuale, per vietare l’affissione, servirà, in sede assembleare, l’unanimità dei consensi (ipotesi inverificabile, in quanto anche il soggetto che richiede l’affissione dovrebbe votare contro l’affissione stessa);

– verificare, inoltre, che il negoziante abbia effettivamente ottenuto dal Comune l’autorizzazione all’affissione dell’insegna: spesso i regolamenti comunali sulle affissioni (in genere consultabili sul sito internet del Comune di appartenenza) prevedono, tra i requisiti richiesti per la presentazione della domanda per l’autorizzazione all’affissione di targhe e insegne, anche l’autorizzazione dell’assemblea condominiale. In tal caso, infatti, non avendo il negoziante richiesto e ottenuto l’autorizzazione del condominio, l’installazione risulterebbe abusiva e basterebbe rivolgersi al Comune per ottenere la rimozione del manufatto.

[1] Art. 1102 cod.civ.
[2] Cass. sent. n. 6229 del 24.10.1986.
[3] Cass. sent. del 9311 del 3.09.1933.
[4] Ossia quello approvato con i voti favorevoli della maggioranza degli intervenuti all’assemblea e che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136 cod. civ., II c.).
[5] Tra le tante, Cass. sent. n. 11936 del 23.10.1999; Cass. sent. n. 1389 del 29.10.1998; Cass. sent. n. 10602 del 5.11.1990; Cass. sent. n. 12654 del 26.05.2006.

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