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Flessibilità del mercato del lavoro

Flessibilità del mercato del lavoro

    Flessibilità. Con quale facilità si ripete questa parola come in un monotono rosario.

    Eppure a pronunciarla, spesso, non sono uomini malvagi.

    Alcuni di essi, anzi, sono persone pie, sono soliti andare in Chiesa, nella loro cultura è presente il rispetto per gli altri.

    E tuttavia nessuno di essi sembra accorgersi dell’ infamia semantica racchiusa nella parola flessibilità, dell’ umana mortificazione e sofferenza cui essa rinvia.

    La si usa come un sinonimo di prestazione atletica.

    Ma flessibile è la molla, l’ elastico, i dispositivi tecnici inventati dall’ uomo per le applicazioni industriali.

    Per quale suprema ragione gli uomini devono diventare elastici, saltare da un lavoro all’ altro, cambiare continuamente testa, posizioni di corpo, abilità delle mani, attitudini, prestazioni, orari, ambiente, relazioni sociali?

    Le persone devono correre dietro al lavoro?

    E’ questo mondo alla rovescia l’ avvenire delle società industriali, il "futuro", come ci ripetono in coro e pomposamente tutti gli esperti che affollano le nostre giornate?

    Certo, si tratta di un fenomeno di "falsa coscienza", come avrebbe detto Marx.

    Costoro perorano con passione la ricetta della flessibilità perchè non tocca a loro preparare il pasto.

    Ad essi spetta solo il privilegio di mangiarlo.

    Ma qualcuno deve pur ricordare, a chi detiene i centri di comando, e a tutti i teatranti al loro servizio, che stanno scavando negli ultimi arsenali del consenso, stanno assottigliando in modo pericoloso i fondamenti storici dell’ intero edificio.

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