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Decoro architettonico dottrina e giurisprudenza

Riguardo alla figura di decoro architettonico, una recente pronuncia della Cassazione ha statuito che “per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c., deve intendersi l’estetica dell’edificio, costituita dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti dì edifici di particolare pregio artistico, né rileva che detto decoro sia stato gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità”. Così si è pronunciata la Suprema Corte nella Sent. n. 14455 del 19 giugno 2009.

Tale pronuncia si sposa appieno con l’orientamento sino ad ora ottemperato dai Giudici della Suprema Corte, i quali, in precedenti e numerose pronunce, erano arrivati alle medesima conclusione (ad esempio, tra le tante: Cass. n. 27551 del 4/2/2005 e Cass. n. 851 del 16/1/2007).

In generale, per decoro architettonico deve intendersi l’estetica dell’edificio data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano l’edificio stesso e che gli imprimono una determinata, armonica fisionomia. Pertanto, ogniqualvolta possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, il decoro architettonico deve essere considerato come bene comune, ai sensi dell’articolo 1117 cod. civ..

Tale bene assume tanta rilevanza che, ai fini della tutela prevista dall’art.1120 cod. civ., può essere attribuita al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. n. 851 del 16/01/2007). Infatti, nell’ipotesi di “stravolgimento” della fisionomia architettonica dell’edificio condominiale, il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata – in quanto di per sè meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione.

Addirittura, il cui mantenimento del decoro architettonico viene tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare (Cass. n. 8830 del 04/04/2008) e, a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà dei muri perimetrali, che l’art 1117 c.c. espressamente annovera tra i beni comuni, il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, siano esse comuni o di proprietà individuale (come, ad esempio, la tamponatura esterna di un balcone rientrante), che incidano sul decoro dell’intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso (Cass. n. 17398 del 30/08/2004). Infine non costituisce prova dell’insussistenza della lesione del decoro architettonico l’ipotesi per cui l’autorità Comunale abbia autorizzato l’innovazione considerata (Cass. n. 2552 del 1975).

D’altro canto, la modifica del decoro è lecita nel caso in cui la lesività estetica dell’opera abusivamente compiuta da uno dei condomini, che costituisca l’unico contestato profilo di illegittimità dell’opera stessa, non può assumere rilievo in presenza di una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull’immobile (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di rimozione di un ballatoio realizzato da un condomino sul preesistente terrazzo, in considerazione del fatto che non tutte le modifiche compiute avevano danneggiato il decoro dell’edificio, peraltro già compromesso da precedenti interventi, alcuni dei quali opera dello stesso condomino attore) (Cass. n. 21835 del 17/10/2007).

Inoltre, non sussiste illecito nel caso in cui l’innovazione sia di lieve entità, tale da non arrecare all’edificio (e ai condomini) alcun danno). Infatti, la tutela del decoro architettonico è stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all’intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono; pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell’intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un’utilità la quale compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità (Cass. N 4474 del 15/05/1987).

Infine, non sono pregiudizievoli per il decoro e l’aspetto architettonico dell’edificio condominiale e, pertanto, non se ne può imporre la demolizione, quei manufatti, posti in essere dai singoli condomini sulle rispettive proprietà esclusive, che non siano (o lo siano in modo inapprezzabile) visibili dall’esterno, essendo evidentemente determinante, in fatto di estetica, il criterio della visibilità dell’opera (Trib. Roma, 13/11/1990).

Nel caso in cui vengano poste in essere opere lesive del decoro dell’edificio, ciascun condomino è legittimato a a chiedere, in via dell’adempimento in forma specifica dell’obbligo di non facere, la demolizione delle opere illecitamente eseguite, oltre al risarcimento del danno. L’azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell’edificio in condominio, estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile, in applicazione del principio per cui “in facultativis non datur praescriptio”. L’imprescrittibilità, tuttavia, può essere superata dalla prova della usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva. (Cass. n. 7727 del 07/06/2000).

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