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Rumore in condominio: qual è la soglia tollerabile?

Rumore in condominio: qual è la soglia tollerabile?

Oltre una “certa soglia”, in condominio, non si può fare rumore: già! Ma qual è questa soglia? Non esiste nessuna norma o legge che definisca, in termini scientifici e numerici il tetto di decibel che i rumori in condominio non possono superare. L’unica norma è contenuta nel codice civile e parla di “normale tollerabilità” [1]: oltre, appunto, la normale tollerabilità, i rumori non sono consentiti e scatta la tutela inibitoria, il risarcimento del danno ed, eventualmente, l’ordine di insonorizzare le pareti.

La locuzione è volutamente generica per dare modo al giudice di applicarla e “personalizzarla” ai diversi casi concreti: questo perché lo stesso identico rumore può essere molesto in una zona di campagna, silenziosa per sua natura, e invece non essere nemmeno avvertito al centro città, in prossimità di incroci e di traffico intenso.

Alcuni riferimenti, però, per orientarsi in questa delicata e sempre attuale materia, sono stati forniti dalla giurisprudenza: cerchiamo di sintetizzarli in questo articolo.

Secondo il codice civile il proprietario di un fondo o di un immobile non può impedire le immissioni di rumori derivanti dalla proprietà del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avendo anche riguardo alla “condizione dei luoghi”. Il limite della tollerabilità delle immissioni, quindi, non ha carattere assoluto, ma va fissato con riguardo alla situazione locale specifica, sulla base dell’udito di un uomo medio.

La situazione locale va anche valutata con riferimento all’orario in cui avviene il rumore: se uno schiamazzo è tollerabile in centro città a mezzogiorno, perché coperto dagli ambienti circostanti, non è più a mezzanotte.

Infine va tenuto conto della destinazione dell’immobile: bisogna quindi graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando le esigenze personali di vita connesse all’abitazione rispetto alle utilità utilizzate per scopi economici inerenti all’esercizio di attività commerciali. Questo significa che non perché si deve consentire a un pub di “sopravvivere alla crisi” gli si può concedere volume alto, a spregio della tranquillità dei condomini dei piani superiori.

Le leggi e i regolamenti locali

Non perché la soglia di rumori rispetta gli standard fissati dalle leggi e dei regolamenti locali nell’interesse della collettività (si pensi a una fabbrica o a un’autorimessa) si può considerare lecita anche nei rapporti tra privati (ossia coi condomini o coi vicini di casa): la prima disciplina, infatti, ha rilievo solo nei rapporti tra il “pubblico” e il “privato”, ma non consente di sanare anche gli eventuali illeciti tra “privati” e “privati”.
Pertanto è spesso inutile chiamare la polizia o i carabinieri se il vicino fa baccano la notte. Infatti, salvo quando ciò non è previsto dalla legge come reato (il che si verifica solo quando il rumore lede il riposo di un numero indeterminato di persone – v. sotto), la pubblica autorità non ha potere di intervento.

Dall’altro lato, però, se i rumori superano, per intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla legge speciale a tutela degli interessi della collettività, pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione si può ritenere già violata la normale tollerabilità prevista dal codice civile nel rapporto tra privati.

In sintesi: se il rispetto delle norme di legge non garantisce il contemporaneo rispetto dei limiti del codice civile (la “normale tollerabilità”), dall’altro lato il mancato rispetto delle leggi è già dimostrazione anche dell’illecito civile. Dunque, i parametri fissati dalle norme speciali a tutela della collettività e dell’ambiente possono essere considerati come criteri di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano. Tuttavia gli stessi parametri non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene.

La soglia del rumore

Ai fini della valutazione del limite di tollerabilità dei rumori (o, come dice il codice, delle “immissioni acustiche”), la giurisprudenza utilizza il cosiddetto criterio comparativo: si parte, come punto di riferimento, dal rumore di fondo della zona, vale a dire quel complesso di suoni di origine varia e non identificabile, continui e caratteristici della zona, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori più intensi.

Per verificare, dunque, la tollerabilità non bisogna far altro che confrontare il livello medio del rumore di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, al fine di verificare se sussista un incremento non tollerabile del livello medio di rumorosità. In particolare, secondo i giudici, il rumore si deve ritenere intollerabile tutte le volte in cui, sulla proprietà del soggetto molestato, venga riscontrato un incremento dell’intensità del livello medio del rumore di fondo di oltre 3 decibel.

Questo valore viene solitamente considerato il limite massimo accettabile di incremento del rumore, tenuto conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, ed è stato riconosciuto anche dalla Cassazione come “un valido ed equilibrato parametro di valutazione” per un idoneo contemperamento delle opposte esigenze dei proprietari.

La consulenza del perito fonico

Certamente non sarà il giudice a recarsi sul luogo del “delitto” e ad armarsi di strumenti per verificare la misura dei decibel. Di norma, egli incarica un consulente tecnico d’ufficio (cosiddetto CTU) che effettua la perizia. Nella perizia non si deve tenere conto, ovviamente, dei giudizi e dalle impressioni soggettive delle persone interessate.

Ma il giudice può arrivare alla decisione sull’intollerabilità dei rumori anche con altri mezzi di prova che non siano, necessariamente, la perizia tecnica. In particolari situazioni, attinenti a emissioni rumorose discontinue, difficilmente verificabili e riproducibili, si fa ricorso ai testimoni e non anche alla consulenza tecnica.

Il regolamento di condominio

Prima, però, di andare a scomodare la legge, è sempre opportuno verificare se il regolamento di condominio – solo se approvato all’unanimità o di tipo contrattuale (ossia quello fatto firmare dal costruttore a tutti i proprietari al momento del rogito) – vieti l’esercizio di determinate attività ritenute rumorose. In tal caso, indipendentemente dalla valutazione della tollerabilità dei rumori da esse prodotte (e, quindi, anche se “nella norma”), tali attività sono considerate sempre illecite.

Il regolamento condominiale, infatti, se di natura contrattuale, può sempre imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva, anche maggiori di quelle stabilite dalla legge.

Rapporti tra padrone di casa e inquilino

Solo se il regolamento contrattuale contiene divieti specifici, il padrone di casa è obbligato a far rispettare il regolamento all’inquilino, agendo nei suoi confronti non solo con semplici diffide, ma con una causa in tribunale volta all’eliminazione della turbativa ed, eventualmente, anche agendo davanti al giudice per la risoluzione del contratto di locazione.

Al contrario, se il regolamento contrattuale non contiene divieti specifici, il locatore non risponde per le azioni del proprio inquilino, anche se i comportamenti del conduttore si risolvono in immissioni intollerabili.

La tutela per il danneggiato

Il proprietario dell’immobile danneggiato dal rumore può chiedere al giudice:

– di far cessare i rumori molesti, impedendo al vicino colpevole la prosecuzione della sua attività;
– di ordinare a suo carico il risarcimento del danno anche non patrimoniale (danno biologico, morale, ecc.).

La competenza è sempre del giudice di pace salvo nel caso in cui si vi sia una specifica clausola del regolamento condominiale che imponga limitazioni alle attività da svolgersi negli appartamenti e la parte lesa invochi, non tanto l’eliminazione delle immissioni rumorose, ma il rispetto della clausola del regolamento.

La parte danneggiata può sempre chiedere un provvedimento d’urgenza per far cessare i rumori. Così può essere ordinato l’allontanamento dall’edificio condominiale, con divieto di farvi ritorno, di animali domestici, sia quando ciò sia previsto dal regolamento sia quando la presenza degli stessi sia fonte di immissioni intollerabili e di diminuito godimento delle parti comuni dell’edificio.

La causa, ovviamente, può essere anche avviata contro il condominio se la fonte del rumore è di proprietà comune (si pensi a un impianto di riscaldamento condominiale o a un ascensore obsoleto o non funzionante).

L’azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità può essere diretta anche nei confronti dell’autore materiale delle immissioni che non sia proprietario dell’immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti dell’inquilino, usufruttuario, comodatario ecc.

Il reato di disturbo del riposo delle persone

I rumori molesti, oltre ad avere risvolti civilistici (ossia il risarcimento del danno e l’inibizione dell’attività), può anche coinvolgere aspetti di diritto penale. In particolare, le immissioni rumorose oltre il limite della normale tollerabilità possono condurre al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.

Tuttavia, per la sussistenza di questo reato è necessario che la diffusività dei rumori sia tale da arrecare disturbo a un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio (il vicino o il confinante di appartamento). È il caso di una discoteca nel centro della città che disturba tutti i proprietari di una casa del quartiere o del blocco di edifici.

[1] Art. 844 cod. civ.
http://www.laleggepertutti.it/93605_rum … ile-tutela

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