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Maria Luisa Busi si ribella al controllo dell’ informazione

Quando una giornalista come Maria Luisa Busi, conduttrice del TG1, si dimette per protesta contro il controllo dell’ informazione pubblica, a mio giudizio è necessario restare vigili.

 

Ormai è un coro di voci autorevoli che contesta questa cappa di provocato ottimismo, che protegge il paese dalla verità.

Il TG1 dovrebbe essere il telegiornale più autorevole del nostro paese, e invece si occupa prevalentemente di fare propaganda governativa.

La Busi si dimette contro questa situazione, e dovremmo prenderne atto.

Per fortuna, credo che fondamentalmente ci sia ancora la libertà di esprimersi, perchè riesco ad accedere facilmente ad altre fonti di informazione alternativa, ma moltissima gente (quella che vota), non va al di là di ciò che il telegiornale racconta.

Quando i giornalisti sono costretti a diventare eroi, c’ è di che preoccuparsi.

Maria Luisa Busi credo che non voleva diventare un eroe.

Corriere della sera

La linea editoriale impressa al Tg1 equivale a «una sorta di dirottamento» a causa del quale il telegiornale della rete ammiraglia «rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori», mentre finora era stato «il giornale delle culture diverse, delle idee diverse.

Le conteneva tutte, era la sua ricchezza».

Oggi l’informazione del Tg1 «è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il paese reale?

Dov’è l’Italia che abbiamo il dovere di raccontare?».

Un’Italia fatta anche di precari, di uomini e donne che hanno perso il lavoro, di cassintegrati, di aziende che a centinaia chiudono e di imprenditori del Nord-est che si tolgono la vita perchè falliti.

«Quell’Italia esiste. Ma il Tg1 l’ha eliminata».

Sono le accuse che Maria luisa Busi mette nero su bianco nella lettera che ha indirizzato al direttore del Tg1 Augusto Minzolini e con cui chiede di essere sollevata dalla conduzione dell’edizione delle ore 20 della testata dove – precisa – «lavoro da 21 anni» e che ama, e la scelta fatta «è per me una scelta difficile, ma obbligata».

Una lettera fatta avere per conoscenza anche al presidente della Rai Paolo Garimberti, al direttore generale Mauro Masi e al responsabile delle risorse umane, Luciano Flussi, oltre che al Cdr della testata.

Maria Luisa Busi ricorda a Minzolini che il Tg1 era il giornale «anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati.

Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese.

Il giornale degli italiani.

Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola».

La giornalista aggiunge «anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica.

Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale».

E «l’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza.

Schiacciata tra un’informazione di parte e l’infortainment quotidiano.

Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese.

Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale».

Nel ricordare che un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma, «un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto».

«Nell’affidamento dei telespettatori – prosegue Maria Luisa Busi – è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia.

È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori».

E i fatti de L’Aquila (quando la troupe del Tg1 guidata dalla Busi venne contestata per strada, ndr) «ne sono stata la prova» è stato allora che «ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso.

È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica».

L’ultima parte della lettera contiene annotazioni un pò più personali.

«Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire», e pertanto «respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto.

Le critiche che ho espresso pubblicamente le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente.

Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento.

Per questo ho continuato a condurre in questi mesi.

Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1.

Sono i tempi del pensiero unico.

Chi non ci sta è fuori, prima o dopo». Inoltre, «respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio.

Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti.

Tutti e onesti.

E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo», come pure «respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti».

Maria Luisa Busi

Maria Luisa Busi

Maria Luisa Busi sottolinea quindi a Minzolini «ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale.

Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni.

A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20».

Infine, «Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.

Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre.

Anche tu ne avresti il dovere».

Il testo della lettera di dimissioni di Maria Luisa Busi

“Caro direttore,
ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del TG1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali.
 
Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata.
 
Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il TG1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori.
 
Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: ‘la più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura, ha visto trasformare, insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale’.
 
Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale.
 
È stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella.
 
Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza.
 
Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati.
 

Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese.

Il giornale degli italiani.
 
Il giornale che ha dato voce a tutte le voci.
 
Non è mai stato il giornale di una voce sola.
 
Oggi l’informazione del TG1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale?
 
Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla?
 
Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli?
 
Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.
 
E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie.
 
Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio?
 
E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del Nord Est che si tolgono la vita perché falliti?
 
Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare?
 
Quell’Italia esiste. Ma il TG1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica.
 
Ma la sera, nel TG1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.
 

L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza.

Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo.
 
Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese.
 
Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.
 
Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma.
 
Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto.
 
Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia.
 
È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.
 
I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova.
 
Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di ‘vergogna!’ e ‘scodinzolini!’, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso.
 
È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica.”
 
Nella lettera a Minzolini, Busi tiene a fare un’ultima annotazione “più personale”:
 

“Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente.

 
Pertanto:
 
1) respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al TG1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
 
2) Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
 

3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti:

 
mi hai accusato di ‘danneggiare il giornale per cui lavoro’, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: ‘il TG1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche’. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita ‘tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editorialì’ e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale.
 
Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard, in Antichi Maestri, scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno. 

Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del TG1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.”

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