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La generazione dei diritti acquisiti e dei diritti perduti

I giovani devono rinunciare alla logica del posto fisso.
L’invito del Premier Mario Monti alle nuove generazioni è condivisibile, ma incompleto.
Manca l’altra gamba del ragionamento, perché il ragionamento fili e, soprattutto, stia in equilibrio: i pensionati devono capire che ogni euro di pensione percepita in più, rispetto a quella che spetterebbe loro sulla base dei contributi effettivamente versati, non è un diritto, ma un privilegio.

E sui privilegi si può sempre discutere, tanto più quando si chiede ad altri di fare rinunce addirittura preventive.
Certamente nessuno pensa che una simile discussione debba tradursi nella riduzione a 700 euro di pensioni che il retributivo pieno o pro rata “regala” a 1.000 euro.
Quando, però, si cominciano a vedere pensioni di 4.000 euro che dovrebbero essere di 3.000 e via salendo, fino alle aberrazioni massime delle cosiddette pensioni d’oro, caratterizzate da una forbice impressionante tra “spettante su base contributiva” e “regalato su base retributiva”, qualche riflessione andrebbe fatta.
Soprattutto in una fase storica in cui non si esita ad affermare: giovani, dimenticatevi dell’opzione posto fisso che valeva per i vostri padri e nonni, perché i posti sono finiti.

I giovani ventenni e trentenni di oggi, come quelli di ogni epoca, oltre che di suggerimenti hanno senza dubbio bisogno di qualche sana sculacciata, tanto più quelli che tendono all’autocommiserazione e che, capita di vedere anche questo, talvolta non lavorano non perché non trovano alcun lavoro, ma perché non trovano un lavoro che sia di loro gusto.
Queste lezioni sarebbero però assai più ben accette se provenissero dai loro fratelli maggiori, quarantenni e cinquantenni, che ne condividono in buona parte i destini.

Oltre alla sobrietà, valorizziamo l’equilibrio

Non che i sessantenni e settantenni debbano essere caricati di colpe che, a livello individuale, non possono certo essere addossate loro, Premier Monti compreso ovviamente.
Tuttavia, se ci manteniamo su un asettico piano generazionale, è indubbio che suonino davvero stonate certe frasi quando arrivano da chi appartiene a una generazione che non ha realmente fatto la guerra (perché negli anni Quaranta aveva ancora da nascere o aveva meno di dieci anni), non ha realmente ricostruito il Paese (perché negli anni Cinquanta e Sessanta era adolescente o poco di più) e ha vissuto intensamente dagli anni Settanta in avanti, lasciando il conto da pagare a chi sarebbe venuto dopo.

Essere sobri significa, senza dubbio, astenersi dal partecipare a feste e festini, così come dall’utilizzare il proprio dito medio come se fosse un mulino a vento.
Se però, oltre alla sobrietà, vogliamo valorizzare anche l’equilibrio, evitiamo di dire con paternalismo ai giovani che devono rinunciare loro a qualcosa nel Paese in cui persino i vitalizi già maturati dei parlamentari sono diritti acquisiti.
Cerchiamo di dire a questi giovani qualcosa che non sappiano già.

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