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Il mero deposito della domanda di mediazione è elusivo

È necessario un comportamento attivo della parte per l’integrazione del contraddittorio di fronte al mediatore

L’art. 5, comma 1, del DLgs. 28/2010 ha fissato il vincolo del previo esperimento del procedimento di mediazione per la risoluzione delle controversie civili e commerciali relativi a diritti disponibili, vertenti su alcune materie tassativamente previste.

In questi casi, il tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale: l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine per la conclusione della medesima (il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a 4 mesi). In egual modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Le conseguenze per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione le stabilisce direttamente il DLgs. 28/2010, con l’art. 8, comma 5: il giudice, in mancanza di giustificato motivo, in generale, può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ex art. art. 116, comma 2 c.p.c. e, nei casi di cui all’art. 5 sopra citato, condanna la parte costituita al pagamento di una sanzione dell’importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Inoltre, ai sensi dell’art. 7, comma 5, lett. d), del DM 180/2010, nei casi di cui all’art. 5, comma 1, sopra citato, il mediatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata in mediazione, e la segreteria dell’Organismo può rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all’esito del verbale di mancata partecipazione della medesima parte chiamata e mancato accordo, formato dal mediatore.

In merito, si segnala un’interessante sentenza del Tribunale di Siena, pronunciata il 25 giugno 2012, con la quale è stata dichiarata l’improcedibilità di un’opposizione a decreto ingiuntivo (riconosciuto a favore di una banca), a causa del comportamento elusivo la norma imperativa da parte degli attori. Più precisamente, gli attori avevano depositato la domanda presso l’Organismo di mediazione senza aver dato seguito all’instaurazione di un effettivo ed integro contraddittorio né all’effettiva fruizione del servizio erogata dal mediatore.

Nel caso di specie, in particolare, la domanda di mediazione era stata presentata solo in nome e per conto della società, in persona dei suoi 3 legali rappresentanti, e non anche in nome di tali soggetti, destinatari dell’ingiunzione in qualità di fideiussori. Per tale motivo – ha rilevato il Tribunale – i soggetti suddetti, nella loro qualità di fideiussori, parti attrici opponenti, non hanno preso parte alla mediazione obbligatoria. Né la presenza di tali parti è stata provocata o procurata dalla società che ha promosso la procedura di mediazione.
Ma non solo, anche la società, per la quale invece risultava correttamente presentata la domanda di mediazione, non aveva preso parte alla procedura stessa, né aveva corrisposto le spese introduttive della procedura (versamento adempiuto invece da parte convenuta).

Tale complessivo comportamento, secondo il Tribunale, integra gli estremi della frode alla legge. Infatti, costituisce comportamento elusivo dell’obbligatorietà della media-conciliazione da parte della società il mero deposito della domanda senza aver proceduto all’instaurazione di un effettivo ed integro contraddittorio di fronte al mediatore. Insieme a ciò, vi è, poi, il mancato pagamento delle competenze del mediatore che non ha reso possibile l’effettiva fruizione del servizio da quest’ultimo erogato.
Inoltre, l’art. 5, comma 1, del DLgs. 28/2010 è una norma imperativa posta a presidio del giusto processo e della sua ragionevole durata alla scopo della deflazione del contenzioso civile, anche nell’interesse pubblico.

L’art. 5 del DLgs. 28/2010 è una norma imperativa

Infine, proprio con riferimento al giusto processo, si fa presente che, nell’ambito delle disposizioni rivolte alle modifiche alla L. 89/2001 (cosiddetta Legge Pinto), relativa all’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi, è stato escluso espressamente il risarcimento nel “caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” (nuovo comma 2-quinquies, lett. c), dell’art. 2 della L. 89/2001). Si tratta dell’ipotesi in cui, esperito senza successo il tentativo di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali con formulazione di una proposta non accettata dalla parte vincitrice ed instaurato il giudizio, la decisione del giudice corrisponde interamente al contenuto della proposta stessa.

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