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Il deterioramento delle forze armate ucraine sul campo di battaglia ripropone il problema capitale della “sistemazione” dell’architettura di sicurezza europea. Le tendenze in atto delineano uno scenario sorretto da tre pilastri fondamentali:
1) La Russia consegue la vittoria militare decisiva in Ucraina entro il 2026; occupa i cinque oblast’ che ha formalmente annesso più altri territori; si dichiara disponibile a trattare con l’Ucraina; invoca un più ampio negoziato con i Paesi occidentali volto alla definizione di una cornice di sicurezza condivisa in Europa, sul modello del “concerto delle nazioni” delineato al Congresso di Vienna da Metternich, Talleyrand, lo zar Alessandro.
2) La risposta occidentale è negativa. Le annessioni russe non vengono riconosciute, anche se un nuovo governo ucraino le accetta. Si forma un governo ucraino in esilio (Polonia in primis). Vengono eseguite azioni coperte anti-russe sul territorio ucraino e russo.
3) I Paesi europei accelerano il riarmo. In particolare la Germania tenta di ricostruire una Bundeswehr operativamente efficace, in grado di affrontare un conflitto convenzionale con la Russia.
In siffatto contesto, la domanda da porsi è come reagirebbe la Russia. O meglio, quale corrente politica interna alla classe dirigente di Mosca riuscirà a imporre la propria visione strategica. La cordata che fa capo al presidente Putin e al ministro degli Esteri Lavrov tende a interpretare la vittoria come dimostrazione della capacità della Russia di sostenere un conflitto prolungato, e a ritenere conseguiti gli obiettivi primari della neutralizzazione dell’Ucraina e del ripristino della “profondità strategica”. Secondo questa compagine, la vittoria in guerra è un mezzo per raggiungere il fine strategico della costruzione di un ordine europeo condiviso che tenga in assoluta considerazione gli interessi russi. I settori più radicali, gravitanti attorno a intellettuali come Sergej Karaganov, reputano invece la vittoria in Ucraina come un successo tattico da sfruttare per conseguire l’obiettivo strategico di eliminare definitivamente la minaccia, “spezzando la schiena all’Europa” e forzando gli Usa a modificare nettamente il proprio approccio ostile. Per approdare a un risultato del genere, occorre un secondo ciclo di coercizione. Le conseguenze a cascata che deriverebbero dall’affermazione di una delle due correnti interne all’apparato dirigenziale russo sono mutevoli. Ne parliamo assieme a Roberto Buffagni, autore di testi teatrali e studioso di questioni geostrategiche.
