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Regolamento di condominio

Regolamento di condominio

L’art. 1138 c.c. recita: "Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.
Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell’articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell’articolo 1107.
Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118 secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c."
Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

Partiamo dal primo comma. Il codice civile prevede una soglia numerica al superamento della quale il regolamento condominiale è obbligatorio. In sostanza, ogni condominio con più di dieci partecipanti (cioè da undici in su) deve dotarsi di un regolamento condominiale.

Si era posto, in dottrina, il problema del calcolo della soglia. In sostanza ci si è chiesti se il numero era riferibile ai condomini o alle unità immobiliari. L’orientamento maggiore ritiene che si debba fare riferimento al numero dei partecipanti. Al di sotto di tale limite minimo il condominio non è obbligato a dotarsi di un regolamento.

Che cosa succede se un condomino vuole adottare il regolamento condominiale ma trova l’opposizione degli altri? La risposta varia a seconda del numero dei partecipanti la condominio.

Se questi sono in misura minore a dieci, non si potrà far altro che sottoporre di volta in volta la propria proposta all’approvazione dell’assemblea.

Qualora invece il numero sia superiore alle dieci unità ogni singolo partecipante potrà rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per la formazione del regolamento.

E’ dubbio se questo ricorso abbia natura contenziosa o di volontaria giurisdizione.

Stando al tenore letterale della disposizione normativa contenuta nel secondo comma, non si vede un rapporto pregiudiziale tra ricorso all’assemblea per la formazione ex novo del regolamento condominiale e ricorso alla magistratura civile.

Sicuramente, coinvolgendo i diritti di tutti i condomini sulle parti comuni, il promotore dell’iniziativa di formazione giudiziale del regolamento dovrà citare in giudizio tutti gli altri partecipanti al condominio.

Chiariti i contorni pratici del ricorso per la formazione giudiziale del regolamento passiamo ad affrontare le ipotesi più ricorrenti: la formazione assembleare e quella contrattuale.

Il regolamento si dice di natura assembleare quando è approvato dall’assemblea dei condomini.

E’ bene tenere distinte le due fasi di formazione e approvazione. Il fatto che l’assise condominiale approvi un regolamento non è indice del fatto che lo stesso sia stato formato dal collegio.

Infatti, come detto poco sopra ogni condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento. Sarà poi una scelta demandata all’assemblea quella di apportare modifiche o approvare sic et simpliciter il regolamento condominiale. Appurato ciò è utile chiarire quale siano quorum necessari per approvare un regolamento condominiale assembleare.

Il terzo comma dell’art. 1138 rimanda alle maggioranze previste dall’art. 1136 secondo comma c.c. Ciò significa che un regolamento condominiale, quantomeno sotto il profilo delle maggioranze, sarà valido se votato dalla maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi. Le stesse maggioranze sono richieste per la modifica del regolamento o di una sua parte.

Una volta approvato il regolamento obbliga tutti i condomini al suo rispetto (si veda art. 1137 c.c.) e sarà valido pure nei confronti di un nuovo condomino (non partecipante all’assemblea) in caso compravendita di una unità immobiliare. Ciò anche in base al fatto che, come detto in materia di obbligazioni condominiali (c.d. propter rem), assieme al diritto reale si trasferiscono tutta una serie di posizioni ad esso connesse.

Il contenuto è quello prescritto dal primo comma dell’art. 1138 c.c.

Si tratta di quelle norme destinate:

a) a disciplinare l’uso delle cose comuni (es. si potrà stabilire una turnazione dell’uso del parcheggio condominiale);
b) alla ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi di ciascuno (in sostanza come detto in precedenza secondo i criteri di all’art. 1123 c.c.);
c) a tutelare il decoro dell’edificio (es. disciplinando l’utilizzo delle parti comuni al fine di evitare la lesione del decoro architettonico);
d) a disciplinare l’amministrazione (es. istituzione del consiglio dei condomini).

La legge (art. 71 disp. att. c.c.) prevede la trascrizione del regolamento in un registro tenuto presso l’associazione professionale dei proprietari di fabbricati, che è cosa differente dalla trascrizione presso la Conservatoria dei pubblici registri immobiliari.

La norma appena citata è rimasta inattuata. In questi casi il contenuto del regolamento, non potrà essere limitativo dei diritti dei singoli condomini né sulle parti di proprietà comune né su quelle di proprietà esclusiva.

Così, la norma regolamentare che disciplini l’uso turnario dello spazio adibito a parcheggio non potrà escludere nessuno da quest’uso, ne delimitare ed assegnare i singoli posti in uso esclusivo.

Allo stesso modo il regolamento di natura assembleare non potrà limitare l’uso delle parti di proprietà esclusiva, ad esempio vietando una specifica destinazione.

Ciò detto, è utile domandarsi se queste limitazioni sono proprie del regolamento assembleare o se nessun può imporre limiti ai diritti soggettivi dei partecipanti la condominio.

Si tratta, in realtà, di limiti propri del solo regolamento assembleare. Un altro tipo di regolamento potrà disporre diversamente. E’ il c.d. regolamento contrattuale.

Esso è così detto perché è accettato da tutti i condomini ed ha, per l’appunto, valenza contrattuale. Solitamente il regolamento contrattuale è predisposto dal proprietario originario dello stabile ed inserito nei singoli atti d’acquisto o in esso richiamato.

Con questo tipo di regolamento sarà possibile limitare l’uso delle parti comuni stabilendo, ed esempio, che una parte dello stabile andrà in uso esclusivo di alcuni condomini, o ancora sarà possibile derogare al criterio legale di ripartizione delle spese (criterio della proporzionalità ex art. 1123 c.c.).

Si tratta di un vero e proprio contratto con il quale le parti possono disporre dei propri diritti. E’ utile capire sino a che punto il regolamento condominiale possa derogare alle disposizioni di legge. Il quarto comma dell’art. 1138 c.c., così come l’art. 72 disp. att. c.c. pongono una serie di limiti al campo d’azione del regolamento condominiale.

Così, a puro titolo esemplificativo, non potranno essere derogate: a) le norme di cui all’art. 63 disp. att. c.c. relative al procedimento d’ingiunzione contro il condomino moroso; b) quelle relative al dissenso rispetto alle liti art. 1132 c.c.; c) quelle relative alle maggioranze assembleari; d) quelle relative all’impugnazione delle delibere, ecc. Queste norme sono sicuramente valide per il regolamento condominiale di natura assembleare; e per quello di natura contrattuale? La risposta è la stessa, per quanto siano stati sollevati dei dubbi da una parte della dottrina, deve ritenersi che trattandosi di norme inderogabili esse non possano essere disapplicate solo perché vi è l’accordo unanime di tutti i partecipanti al condominio.

C’è da chiedersi che efficacia abbia questo tipo di regolamento. Come tutti i contratti ha valore di legge inter partes, tuttavia a norma dell’art. 1372, terzo comma c.c. "il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge". Ciò significa che il caso di cessione dell’unità immobiliare se il regolamento non è inserito nell’atto d’acquisto o quantomeno espressamente richiamato, esso non avrà efficacia nei confronti dell’acquirente. In effetti trattandosi di un vero e proprio contratto non potrebbe essere diverso.

Questa rigidità di posizioni unità alla necessità di chiarire i quorum necessari alla modifica del regolamento contrattuale hanno contribuito ad alimentare un contrasto giurisprudenziale sfociato in una sentenza delle Sezioni Unite. Proviamo a chiarire.

Fino ad ora si è parlato di regolamento condominiale di natura assembleare e di regolamento di natura contrattuale. Ciò portava, in coerenza con le definizioni, alle seguenti conclusioni: per la modifica del regolamento assembleare saranno necessarie le maggioranze indicate dal terzo comma dell’art. 1138 c.c., per la revisione del regolamento contrattuale sarà necessario l’accordo tra tutti i condomini essendo tale regolamento un contratto a tutti gli effetti.

La dottrina ha sempre proposto una interpretazione, che aveva come centro della propria attenzione non il regolamento globalmente considerato ma le singole clausole che lo andavano a comporre.

Così dicendo, la dottrina era solita distinguere tra clausole di natura contrattuale e clausole di natura assembleare. La differenza non è di poco conto: le clausole di natura assembleare, infatti, sono contenute anche nei regolamenti di natura contrattuale, anzi così come per le tabelle millesimali (di natura contrattuale ma a contenuto "legale"), è facile imbattersi in regolamenti contrattuali che siano in toto composti da clausole di natura assembleari. Conseguenza di ciò, a dire degli studiosi, era che per modificare le clausole di natura assembleare presenti nel regolamento contrattuale sarebbe stata necessaria la semplice maggioranza indicata dal terzo comma dell’art. 1138 c.c. e non l’unanimità.

Un intervento delle Sezioni Unite, relativo alla forma che deve assumere il regolamento condominiale, ha ribadito incidentalmente che "è stata da tempo abbandonata l’opinione secondo cui sarebbero di natura contrattuale, quale che sia il contenuto delle loro clausole, i regolamenti di condominio predisposti dall’originario proprietario dell’edificio e allegati ai contratti d’acquisto delle singole unità immobiliari, nonché i regolamenti formati con il consenso unanime di tutti i partecipanti alla comunione edilizia (v. sent. nn. 2275 del 1968,882 del 1970).

La giurisprudenza più recente e la dottrina ritengono, invece, che, a determinare la contrattualità dei regolamenti, siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l’immobile a studio radiologico, a circolo ecc…) o comuni (limitazioni all’uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (sent. nn. 208 del 1985,3733 del 1987,854 del 1997).Quindi il regolamento predisposto dall’originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni pure se immobili.

Conseguentemente, mentre è necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, come sopra inteso, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è, invece, sufficiente una deliberazione maggioritaria dell’assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura" (così Cass. SS.UU. n. 943 del 1999).

Ciò significa quanto segue: ogni partecipante ad un condominio dotato di un regolamento, sia esso di natura assembleare o di natura contrattuale, potrà chiedere di modificare le clausole avendo riguardo alla natura delle stesse e non a quella del regolamento globalmente considerato. Quanto esposto porta a dire che è più corretto parlare di clausole di natura contrattuale o assembleare, mentre riferendoci al regolamento sarà più opportuno dire che esso è di origine contrattuale o assembleare: tanto per sottolineare le modalità di approvazione dello stesso.

Così potrà accadere che un regolamento di origine contrattuale contenga clausole di natura assembleare ma non viceversa. Il tutto con le sopra evidenziate conseguenze in materia di quorum necessari per la revisione della norme in esso contenute.

Un’ultima questione è quella attinente la forma del regolamento condominiale. La lettura delle norme ad esso relative dà l’impressione che per ogni regolamento sia necessaria la forma scritta.

Le Sezioni Unite, con la succitata pronuncia del 1999, hanno giustamente sottolineato tale fatto affermando che un regolamento di condominio non contenuto nello scritto è inconcepibile perché l’applicazione delle sue disposizioni, a volte di incerta interpretazione, e la sua impugnazione sarebbero difficili se non impossibili in assenza di un riferimento documentale.

Inoltre per la necessità della forma scritta militano le seguenti decisive osservazioni:

a) l’art. 1138 del codice civile prevede la trascrizione del regolamento nel registro di cui all’art. 71 disp. att. cod. civ., in deposito presso l’associazione professionale dei proprietari di fabbricati, e questa previsione rivela la volontà del legislatore di richiedere il requisito formale anche se la norma è divenuta inapplicabile presupponendo la sua operatività l’esistenza dello ordinamento corporativo non più in vigore;

b) per l’art. 1136 7 comma del codice civile deve redigersi processo verbale, da trascrivere in un registro conservato dall’amministratore del Condominio, di tutte le deliberazioni dell’assemblea dei partecipanti alla comunione e, quindi, anche della delibera di approvazione del regolamento a maggioranza; e, per la identità di ratio deve essere, altresì, depositato presso l’amministratore il documento contenente il regolamento;

c) la tesi secondo cui la forma scritta sarebbe richiesta solo "ad probationem" non merita adesione. Infatti, accertato che il regolamento deve essere racchiuso in un documento, la scrittura costituisce un elemento essenziale per la sua validità in difetto di una disposizione che ne preveda la rilevanza solo probatoria, presupponendo questa, per la sua eccezionalità, un’espressa previsione normativa nella specie mancante;

d) la forma scritta per la validità del regolamento contrattuale è poi fuori discussione, incidendo le sue clausole sui diritti che i condomini hanno sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva o comune.(così Cass. SS.UU. n. 943 del 1999). Così come per la forma "iniziale" anche le eventuali revisioni devono essere apportate in forma scritta non potendosi far valere una sorta di abrogazione tacita o per facta concludentia.

Sul punto l’appena citata sentenza ha affermato che "ritenuto che il regolamento di condominio per essere valido debba risultare da un atto scritto, è indubbio che la stessa forma sia richiesta per le sue modificazioni perché queste, risolvendosi nell’inserimento nel documento di nuove clausole in sostituzione delle originarie, non possono non avere i medesimi requisiti di esse" (Cass. ult. Cit).

E tanto più la forma scritta è indispensabile se le variazioni riguardino le clausole di un regolamento contrattuale che impongano limitazioni ai diritti immobiliari dei condomini, in quanto queste integrano per la giurisprudenza oneri reali o servitù prediali da trascrivere nei registri della Conservatoria per l’opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti dello stabile condominiale (sent. nn. 1091 e 2408 del 1968,882 del 1970)"(Cass.SS.UU. 943 del 1999).

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