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Obama sogna una nuova economia

Obama: “Così ripartirà l’America
mai più schiavi di Wall Street”

Il presidente spiega al New York Times la sua ricetta per battere la crisi economica
regolare i mercati e preparare una nuova generazione altamente istruita e specializzata

Cari amici,

Di seguito riporto la traduzione di una intervista al Presidente degli Stati Uniti, pubblicata oggi sulla WebPage di Repubblica.

Ho trovato molto interessante questo documento Web, soprattutto perchè evidenzia il sistema di valori che anima la politica di Obama.

Spero con tutto il cuore che lo statista americano riesca a far diventare più equa e solidale la società americana, poichè gli Stati Uniti hanno proprio bisogno di vigorose iniziative politiche di redistribuzione del reddito prodotto.

Ma si tratta di una rivoluzione epocale, che ribalta completamente le politiche ultraliberiste intraprese negli ultimi 20 anni.

Pertanto credo che sarà estremamente difficile tradurre in pratiche le umanissime ambizioni del presidente degli Stati Uniti.

Il mercato interno americano è sostenuto dai debiti, che a loro volta sono alimentati dal mercato dei capitali.

Si tratta proprio del settore che Obama vuole ridurre pesantemente, a vantaggio di altri settori più “sani” ma molto meno capaci di procurare liquidità a breve termine.

Pertanto, i propositi di riforma economica dovranno essere finanziati con un aumento considerevole delle imposte, le quali, per essere eque, dovranno “abbattersi” soprattutto sulle persone più ricche del paese.

Il lato positivo di questa situazione è che gli Stati Uniti non hanno altra scelta.

Il governo americano “deve” diventare virtuoso, “deve” diminuire i propri debiti, e “deve” alimentare il mercato interno con forti iniezioni di liquidità.

Se non riuscirà a compiere questo “miracolo” entro un tempo ragionevole, allora non rimarrà altra scelta che svalutare pesantemente il dollaro americano; Se ciò avvenisse (e spero proprio che non avverrà), il mondo precipiterebbe in una situazione molto instabile con esiti politici che saranno imprevedibili.

…per questo spero che Obama ce la faccia!

La Repubblica

Signor presidente, come concepisce la finanza nell’economia di domani: dovrà avere un ruolo ridotto? Avrà inevitabilmente un ruolo ridotto?
“Innanzitutto penso che dovremmo distinguere tra la finanza che è linfa vitale della nostra economia e la finanza che è un’industria importante dove godiamo di un vantaggio comparato. Se la questione è semplicemente far crescere la nostra economia, dobbiamo avere credito a sufficienza per finanziare le imprese, grandi e piccole, per dare ai consumatori la flessibilità necessaria per fare acquisti a lungo termine come una macchina o una casa. Questo non cambierà. E sarei preoccupato se il nostro mercato del credito si riducesse al punto da non consentire il finanziamento della crescita sul lungo termine. Ciò significa che non dobbiamo soltanto avere un settore bancario sano, ma che dobbiamo cercare di capire che cosa fare con quel settore non bancario che erogava quasi la metà del credito in circolazione nel nostro Paese. E dobbiamo stabilire se riusciremo o no, a seguito di alcune delle misure assunte dalla Fed e dal Tesoro, a ricreare il mercato per i prodotti cartolarizzati. Sono ottimista, penso che alla fine riusciremo a rimettere in moto questa parte del settore finanziario, ma potrebbe volerci del tempo per riconquistare fiducia e sicurezza.

“Quello che secondo me cambierà, quello che secondo me era un’aberrazione, era una situazione in cui i profitti delle aziende del settore finanziario hanno rappresentato una parte molto consistente della nostra redditività complessiva negli ultimi dieci anni. Questo secondo me cambierà. E in parte sarà dovuto agli effetti della regolamentazione, che impedirà almeno in parte tutta quella leva finanziaria e quell’assunzione di rischi che erano diventati tanto comuni. Per certi aspetti penso sia importante rendersi conto che una parte di quella ricchezza era illusoria fin dal primo momento”.

Dunque non ne sentiremo la mancanza?
“Ne sentiremo la mancanza nel senso che la conseguenza delle gratifiche milionarie versate a gente di 25 anni era che queste persone poi erano disposte a pagare 100 dollari per una cena con bistecche e il cameriere si portava a casa mance che avrebbero fatto l’invidia di un professore universitario. E dunque alcune delle dinamiche del settore finanziario avranno delle ricadute, specialmente in un posto come Manhattan. Ma in realtà io penso che ci sia sempre stata una percezione di insostenibilità rispetto a quello che è successo a Wall Street negli ultimi 10-15 anni. Wall Street rimarrà una parte significativa e importante della nostra economia, esattamente come lo era negli anni 70 e 80. Semplicemente, non rappresenterà più la metà della nostra economia. E questo significa che un maggior numero di talenti e risorse saranno destinati ad altri settori dell’economia. E io questo lo ritengo salutare.

“Non vogliamo che ogni singolo laureato con il bernoccolo per la matematica vada a fare il trader di derivati. Vedremo un riequilibrio, ma non credo che perderemo gli enormi vantaggi che derivano dalla trasparenza, dall’apertura e dall’affidabilità dei nostri mercati. Se non altro, un regime di regole più energico contribuirà a ripristinare la fiducia, e saranno ancora tantissimi i capitali esteri desiderosi di venire a parcheggiarsi negli Stati Uniti”.

Ritiene positivo avere società molto grandi e potenti regolate da regolatori forti, oppure dobbiamo sottoporle a una cura dimagrante, come in passato quando una legge proibiva alle banche commerciali di operare nel settore delle banche d’affari?
Obama: “Così ripartirà l’America mai più schiavi di Wall Street”
“I dati indicano che altri Paesi, che non hanno, nei loro mercati finanziari, alcuni dei problemi che abbiamo noi, non prevedono, ad esempio, una separazione tra banche d’affari e banche commerciali. Hanno un modello di “supermercato” fortemente regolamentato”.

Come il Canada?
“Il Canada è un buon esempio. Sono riusciti a gestire molto bene un periodo di grande rischio nei mercati finanziari. Ma questo non significa, per esempio, che una compagnia assicurativa come l’Aig con innestato sopra un hedge fund sia qualcosa di ottimale. Anche con i migliori regolatori, se si comincia a differenziare troppo le funzioni e i prodotti all’interno di una singola azienda, di un singolo istituto, di una conglomerata, in sostanza le cose possono sfuggire di mano. E la gente semplicemente non sa in cosa si sta andando a mettere”.

Dopo la Grande Depressione, si vide un balzo nei diplomi liceali: anziché appannaggio dell’élite, divennero la norma, il biglietto per accedere alla classe media. Qual è oggi quel biglietto? Serve davvero la laurea universitaria?
“Nei i nostri obiettivi, abbiamo incluso almeno un anno di addestramento post-liceale per tutti. Un corso completo di laurea, con quattro anni di studi, sarebbe chieder troppo. Però a tutti serve un addestramento post-liceale nei settori in cui si richiede esperienza tecnica; se no è difficile ottenere un impiego che permetta di vivere. Questo non andrà soltanto a beneficio dei singoli, ma sarà anche cruciale per l’economia. La sfida è anche nell’assicurare che i licei siano all’altezza del compito. Glielo spiego raccontandole di mia nonna. Mia nonna non si è mai laureata. Completò il liceo. Però riuscì a diventare vicepresidente di una banca, e questo in parte perché il liceo le aveva impartito un’istruzione rigorosa al punto da permetterle di comunicare e di analizzare le informazioni molto meglio, francamente, di quando sappiano fare oggi molti giovani universitari in questo Paese. Anzi, meglio dei miei ex-studenti alla Facoltà di Legge dell’Università di Chicago”.

Signor presidente, io però ho parlato con universitari che si chiedevano se tanto studio servisse davvero. Sono preoccupati che i loro impieghi verranno esportati in Cina. Lei come risponde?
“Beh, guardi le statistiche. Il tasso di disoccupazione fra chi ha solo il diploma liceale è almeno tre volte superiore a quello fra i laureati, che hanno più possibilità di trovare un lavoro con un buono stipendio, da classe media. Però, la grande sfida nell’istruzione è assicurare che fin dal quattordicesimo anno di età, si apprendano le materie e le qualità necessari ad essere competitivi e produttivi in un’economia moderna, tecnologica. Voglio vedere in particolare più lauree in matematica e scienza, in ingegneria. L’economia postbubble, “post-bolla”, che sto descrivendo si fonda in parte sul riequilibrio tra fabbriche e produzione di servizi. Nel lungo termine, se si osservano i grandi rivali nell’economia globale – Cina, India, Stati Uniti, Brasile, Corea – i Paesi che stanno producendo la forza lavoro più istruita, che agevolano le scienze e la matematica, e sanno tradurre quell’istruzione in applicazioni tecnologiche, saranno notevolmente avvantaggiati nell’economia”.

Lei ricorda spesso che sua nonna guadagnava più di suo nonno. Il divario fra i salari di uomini e donne esiste ancora, però i compensi economici maschili oggi sono stagnanti, mentre quelli femminili sono in aumento. E molti lavoratori, per esempio della Gm o della Chrysler, sono depressi. Com’è il futuro lavorativo degli uomini?
“Ottima domanda, perché se vai nelle fabbriche, trovi uomini con abilità straordinarie e orgogliosi di quel che fanno. Per loro, il tracollo dell’industria è la fine di un modo di vita, non soltanto la perdita di uno stipendio. Un’economia sana deve avere un’ampia varietà di lavori, nessun impiego a mio avviso dovrebbe scomparire. Costituirà magari una percentuale dell’economia inferiore rispetto al passato. Però è chiaro che, per la nuova generazione, dovremmo creare nuovi lavori. Nel pacchetto dedicato al risanamento dell’economia ho sottolineato molte volte l’importanza di una nuova rete elettrica “intelligente” nel Paese, con ramificazioni importanti nel consumo energetico. Ebbene uno degli ostacoli maggiori oggi è la mancanza di elettricisti specializzati per attuare quel progetto. Ecco perciò un campo nel quale il governo può intervenire, aiutando: sollecitando una svolta nell’istruzione in vista delle richieste del futuro, e non soltanto del passato”.

Lei incoraggerebbe gli uomini a impegnarsi anche in campi tradizionalmente riservati alle donne? Ad esempio gli infermieri sono ben pagati. E servono nuove assunzioni.
“Infermieri, insegnanti: sono tutti mestieri dove servono più uomini. Gli uomini in quei settori sono stati sottopagati perché entravano in un campo prevalentemente femminile. Bisogna eliminare il divario nei salari fra i due sessi, e fra i vari settori. Se infermiere e insegnanti cominceranno a guadagnare di più, e se lo stesso accadrà per altre professioni, vedrete più uomini. Ma certo bisognerà abbattere molti stereotipi”.

Sua moglie, Michelle, ha mai guadagnato più di lei, signor presidente?
“Certo, che sì. Però per un breve periodo. Quando ero senatore statale, facevo tre lavori: oltre al Senato, insegnavo ed esercitavo da avvocato. A conti fatti, guadagnavo appena un po’ più di lei. Ma quando ho iniziato la campagna per le elezioni al Senato americano ho dovuto mollare qualche incarico, e allora è stata Michelle a sostenere la famiglia per un paio di anni”.

Durante la campagna presidenziale lei aveva detto d’aver molto riflettuto sui dibattiti economici abituali nella Casa Bianca di Clinton. Diceva di voler replicare, all’interno della sua squadra, le celebri discussioni fra Robert Rubin e Robert Reich. E bisogna ammettere che fra i suoi consiglieri economici lei ha reclutato soprattutto dei Democratici.
“Già, però non ho né Paul Krugman, né Joseph Stieglitz (ndr. entrambi Premi Nobel e aspri critici della politica economica di Obama)”.

No, non mi riferivo a loro due… Ma nella sua cerchia di collaboratori più stretti predominano i protetti di Rubin.
“Beh, certo, Larry Summers e Tim Geithner ovviamente hanno lavorato al Tesoro quando c’era Rubin. Quello che io cerco sempre è un pragmatismo impietoso quando si parla di politica economica. È vero probabilmente che alla luce della crisi finanziaria che è venuta fuori il fatto che sia Geithner che Summers abbiano una certa familiarità con le crisi finanziarie è stato un punto a loro favore, perché avevamo bisogno di persone capaci di partire in quarta. E francamente la lista era abbastanza limitata, perché l’ultimo presidente democratico che abbiamo avuto è stato Bill Clinton: lui è stato sulla scena per otto anni e per gran parte del tempo Bob Rubin è stato il principale artefice della sua politica economica. Perciò è più che normale che tutti quelli che hanno esperienza su quel fronte escano fuori da quella fucina”.

Secondo lei la recessione è un evento sufficientemente grande da rendere un Paese disponibile a prendere alcune di quelle scelte difficili che dobbiamo prendere in ambiti come la sanità, la tassazione sul lungo periodo – che non coprirà i costi dello Stato – l’energia? Tradizionalmente queste scelte vengono prese in periodi di depressione o di guerra. Siamo a quel livello?
“Beh, in parte dipenderà dalla leadership. Perciò dovrò tirar fuori buoni argomenti. Ed è quello che sto cercando di fare da quando sono arrivato, sto cercando di dire che adesso è il momento per prendere decisioni importanti e difficili”.

Lei è entrato in carica quattro mesi dopo il crollo della Lehman Brothers. Qualcuno a un certo punto potrebbe cominciare a dire: “Ehi, perché le cose non migliorano?”.
“È una cosa a cui pensiamo. Ancora prima delle elezioni sapevo che sarebbe stato un viaggio molto difficile e che l’economia aveva subito un trauma serio, da cui non si sarebbe ripresa istantaneamente. Però, sia che io resti in carica per un mandato sia che resti in carica per due, i problemi sono talmente importanti e fondamentali che non posso girarci intorno. Quello di cui sono molto fiducioso è che, considerando le scelte difficili che abbiamo di fronte, stiamo prendendo decisioni valide, ragionate. Questo non significa che ogni scelta sarà giusta, che funzionerà proprio come vogliamo noi. Ma io mi sveglio la mattina e vado a letto la sera sentendo che la direzione verso cui stiamo cercando di muovere l’economia è quella giusta, e che le decisioni che prendiamo sono fondate”.

(Copyright The New York Times – la Repubblica. Traduzione di Fabio Galimberti)

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