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Ricchi e poveri: Come redistribuire la ricchezza dei ricchi?

La crisi colpisce anche i ricchi
dimezzati i Paperoni della Borsa

I gruppi familiari con capitalizzazione superiore a mille milioni scesi da 20 a 11
I Rocca ancora in testa, Berlusconi perde 3 miliardi

Cari amici,

Dalla WebPage di Repubblica, ho tratto oggi questo articolo che rappresenta il calo rilevante del valore attribuito ai titoli finanziari dalle borse mondiali.

Ciò significa che i cosiddetti “investitori” prevedono in futuro un calo dei profitti economici, e quindi i venditori di azioni sono di più dei compratori.

La nostra società è legata a questi meccanismi in modo diretto, perchè se i ricchi “piangono” ci sono meno soldi che sono destinati ad alimentare i mercati dei consumi; pertanto i mercati dei consumi vendono meno, e le nostre società occidentali redistribuiscono il valore finanziario più lentamente: Pertanto si contraggono i consumi “complessivi” (ossia ciò che la gente compra) e gli investimenti “complessivi” (ossia ciò che la gente spende nella speranza di vendere “di più” in futuro).

Tutto questo meccanismo obbliga i sistemi economici a concentrarsi sul “margine” (cioè sul ricavo, o sulla perdita, o sul risparmio, o sulla convenienza) e sull’ individualismo (cioè sul confronto tra chi ha “di più” e chi ha “di meno”).

D’ altra parte, l’ esperienza comune che abbiamo ci rende evidente che il valore risiede nell’ utilità economica complessiva; ossia, anche se l’ economa “corrente” ci obbliga a concentrarci sul valore di scambio, noi sappiamo dalla nostra esperienza che è il valore d’ uso ciò che ci “serve” per vivere, non il valore di scambio.

Pertanto, il fatto che i titoli finanziari (i quali di per se sono soltanto dei pezzi di carta), assumano un valore molto più elevato di quello creato dall’ organizzazione aziendale dell’ impresa che quel titolo rappresenta, è un “illusione”, che permette a pochi di arricchirsi “saccheggiando” il valore che, altrimenti, andrebbe ai soggetti che quel valore lo “producono” (ossia tutti i dipendenti e tutte le aziende che contribuiscono al processo produttivo).

Per mantenere questo “ordine” delle cose, gli investitori azionisti sono “costretti” a pagare a peso d’ oro i manager, i quali lavorano al fine di praticare le scelte più convenienti per “incrementare” i valori di borsa, non per gestire al meglio le organizzazioni aziendali.

Per questo motivo, assistiamo al processo denominato “delocalizzazione”, condotto al fine di smantellare le organizzazioni aziendali da paesi in cui costano molto, e rimontarle in paesi in cui costano poco.

Questo processo è causato dalla volontà degli investitori (ossia di chi vende e compra le azioni), di incrementare i margini di profitto speculativo dei titoli che “rappresentano” il valore delle aziende.

Si tratta “proprio” del valore che quest’ anno è stato “bruciato” dagli stessi mercati che lo avevano “creato” negli anni scorsi.

Mi sembra evidente che questo “castello di illusioni” non funziona secondo logiche economiche sane.

Il problema che abbiamo da affrontare è di tipo “politico”, non “economico”.

Pertanto, per “cambiare” sistema economico, non servono riforme economiche, ma bensì un cambiamento di tipo culturale e politico.

Il valore finanziario “personale” deve essere “guidato” attraverso la creazione di paletti che impediscano l’ accumulazione di ricchezze esagerate.

Questi paletti dovrebbero essere i seguenti:

1) Da una parte l’ implementazione di un sistema fiscale ad aliquote progressive che comprenda “anche” una valutazione complessiva del valore patrimoniale accumulato dai contribuenti.

2) Da un’ altra parte la creazione di canali redistributivi, i quali consentano la redistribuzione delle risorse finanziarie eccedenti, le quali così potrebbero essere redistribuite secondo le inclinazioni politiche e culturali dei legittimi proprietari, oppure, nel caso rimanessero nelle disponibilità dei soggetti contribuenti, essere acquisiti dallo stato tramite il sistema di tassazione di cui al punto 1.

Questi “paletti” sono necessari, perchè l’ uomo lasciato completamente “libero” assume naturalmente dei comportamenti “egoisti”.

Per questo è importante che questi “paletti” incidano soltanto sulle ricchezze “private”, ossia sulle risorse finanziarie disponibili per le persone fisiche e per le famiglie.

Le imposte sulle imprese, invece, andrebbero tendenzialmente abolite, poichè le aziende “a fine di lucro” tendono per loro natura a creare ricchezza, e questa loro propria tendenza deve essere per quanto possibile agevolata dallo stato.

Il problema che abbiamo sollevato, riguarda la redistribuizione delle risorse finanziarie eccedenti, e la definizione delle priorità economiche da conseguire dal punto di vista della società.

La repubblica

MILANO – La crisi dimezza il numero dei miliardari a Piazza Affari. La valanga dei subprime non ha risparmiato nemmeno i portafogli delle grandi dinastie del Belpaese che sotto l’albero di Natale si sono ritrovate quasi tutte con un patrimonio azionario dimezzato rispetto al 2007. I Paperoni con più di 1 miliardo in tasca sono oggi solo undici contro i venti dell’anno scorso, mentre le dieci famiglie più ricche hanno visto sparire dal loro portafoglio (virtuale) in dodici mesi ben 26 miliardi, bruciando qualcosa come 71 milioni di euro al giorno. Performance che riflettono, impietosamente, lo scivolone dell’indice Mibtel, crollato da gennaio del 49,6%, riportando l’orologio della Borsa di Milano indietro di 10 anni esatti.

A guidare la classifica dei super-ricchi sono ancora i Rocca (quelli della Tenaris) che però hanno visto andare in fumo in questo periodo la bellezza di 5 miliardi. Dal podio è sparito invece Romain Zaleski. Il raider franco-polacco aveva scalato la graduatoria un gradino alla volta fino al secondo posto del 2007. Un’ascesa, però, drogata dai debiti e legata a filo doppio ai capricci dei mercati. Tant’è che il suo “tesoretto” è stato vittima di una bella sforbiciata crollando a 3,4 miliardi, il 57% in meno del Natale 2007, costringendo le banche a stendere una rete di salvataggio per evitare il default della sua cassaforte Carlo Tassara.

Tiene – invece – un po’ meglio (si fa per dire) chi fa industria e lega i suoi profitti alle fabbriche più che all’andamento di Piazza Affari. Leonardo del Vecchio ha guadagnato una posizione piazzandosi alle spalle dei Rocca, seguito a ruota dai Benetton. Quasi 3 miliardi ha “perso” pure il premier Silvio Berlusconi, penalizzato dal crollo in Borsa di Mediaset, Mondadori, Mediolanum e tradito persino in termini di performance dall’ultimo gioiello di famiglia, il 2% di Mediobanca rastrellato dalla Fininvest.

Tra le vittime eccellenti ne brillano almeno due. Il primo è Luigi Zunino: penalizzato dal crollo degli immobili, dopo un po’ d’anni di gloria ha visto il suo patrimonio perdere quasi il 75% del valore. E poi gli Agnelli: l’anno nero della Fiat ha contagiato pure il valore delle holding del Lingotto, dall’Ifil fino all’Ifi. Tanto che gli eredi dell’avvocato hanno oggi in tasca partecipazioni azionarie per poco più di 250 milioni, un quarto di fine 2007. Malissimo è andata anche a Marco Tronchetti Provera che a causa della debacle della Camfin, capofila di Pirelli, ha visto la sua ricchezza azionaria ridimensionata dell’80% circa a poco meno di 50 milioni.

A sorridere a Piazza Affari sono in pochi visto che i titoli in attivo nel 2008 si contano sulle dita di una mano. Un Natale felice l’ha passato – ad esempio – la famiglia Landi. Il titolo della loro azienda attiva nei sistemi di alimentazione per auto ha sfidato la forza di gravità e i subprime guadagnando in dodici mesi quasi il 50%. Qualche spicciolo l’ha raggranellato anche il numero uno della Lazio Claudio Lotito visto che le azioni dei biancazzurri sono oggi in rialzo frazionale.

Se i privati piangono, anche lo Stato, nel suo piccolo, non ha molto da ridere. Le partecipazioni in portafoglio al Tesoro (che a tutt’oggi ha ancora la palma di investitore più ricco di Piazza Affari) valgono – tra Eni, Enel, Finmeccanica e Terna – un po’ più di 26 miliardi di euro. Un bel gruzzoletto, per carità, ma in ogni caso ben 15 miliardi in meno del patrimonio di azioni pubbliche a dicembre dell’anno scorso.

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