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Impianti di riscaldamento centralizzati in condominio: l’accensione

Impianti di riscaldamento centralizzati: arriva l’autunno e, con esso, in diverse zone d’Italia, si riaccenderanno le caldaie condominiali che servono a dare calore a tutti gli appartamenti che non hanno scelto la vita dell’impianto autonomo.

Peraltro il tema del risparmio energetico è divenuto, di recente, “rovente” per due ragioni: da un lato, infatti, è cambiata l’attestazione di prestazione energetica (APE) che ora avrà una forma più completa (e complessa), ma uguale per tutto il territorio; dall’altro perché, entro il 31 dicembre 2016, tutti gli edifici nei quali vi è un impianto centralizzato, ove tecnicamente possibile e se vi sia un buon rapporto costi/benefici, dovranno essere dotati di sistemi di contabilizzazione e termoregolazione.

L’accensione degli impianti di riscaldamento non avverrà lo stesso giorno per tutta l’Italia. Infatti, le regole variano a seconda della Regione, posto che la legge prevede una diversa regolamentazione a seconda della fascia di freddo in cui si trova il Comune. In particolare è prevista la suddivisione dello stivale in sei zone climatiche e, per ciascuna di esse, è stata stabilita una diversa data di accensione e la durata giornaliera di accensione.

La maggioranza del territorio ricade, nel Centro-Nord, in zona E o D, mentre al Sud in zona B e C; in zona F è l’arco alpino e in zona A pochi Comuni delle isole meridionali.

Individuazione della zona climatica e dei gradi-giorno
Il territorio nazionale è suddiviso nelle seguenti sei zone climatiche in funzione dei gradi-giorno, indipendentemente dalla ubicazione geografica:

Zona A: comuni che presentano un numero di gradi-giorno non superiore a 600; periodo annuale: dal 1° dicembre al 15 marzo; durata giornaliera: ore 6.

Zona B: comuni che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 600 e non superiore a 900; periodo annuale: dal 1° dicembre al 31 marzo; durata giornaliera: ore 8.

Zona C: comuni che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 900 e non superiore a 1.400; periodo annuale: dal 1° dicembre al 31marzo; durata giornaliera: ore 10.

Zona D: comuni che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 1.400 e non superiore a 2.100; periodo annuale: dal 1° novembre al 15 aprile; durata giornaliera: ore 12.

Zona E: comuni che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 2.100 e non superiore a 3.000; periodo annuale: dal 15 ottobre al 15 aprile; durata giornaliera: ore 14.

Zona F: comuni che presentano un numero di gradi-giorno maggiore di 3.000. Nessuna limitazione.

La tabella dell’allegato A del Dpr 26 agosto 1993 n. 412 (qui scaricabile), ordinata per regioni e province, riporta per ciascun comune l’altitudine della casa comunale, i gradi-giorno e la zona climatica di appartenenza.

Nell’arco temporale indicato, i condomìni possono scegliere gli orari di funzionamento purché lo stesso sia compreso tra le ore 5 e le ore 23.

Eccezionalmente si può derogare ai suddetti limiti di tempo ed accendere il riscaldamento oltre le forbici temporali appena indicate a condizione che situazioni climatiche straordinarie che ne giustifichino l’esercizio e, comunque, con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita in via ordinaria.

I sindaci, con propria ordinanza, possono ampliare o ridurre, a fronte di comprovate esigenze, i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di attivazione, nonché stabilire riduzioni di temperatura ambiente massima consentita sia nei centri abitati sia nei singoli immobili.

Un consiglio per le famiglie è quello di non interrompere il funzionamento dell’impianto. Infatti, lo spegnimento della caldaia solo per alcune ore del giorno non porta a un risparmio ma a un maggior costo: questo perché il maggior consumo di energia (e quindi il maggior costo) si ha con l’accensione per portare l’acqua alla temperatura utile.

Le limitazioni temporali non si applicano:

– agli edifici adibiti a ospedali, cliniche o case di cura e assimilabili ivi compresi quelli adibiti a ricovero o cura di minori o anziani, nonché alle strutture protette per l’assistenza ed il recupero dei tossico-dipendenti e di altri soggetti affidati a servizi sociali pubblici;
– alle sedi delle rappresentanze diplomatiche e di organizzazioni internazionali, che non siano ubicate in stabili condominiali;
– agli edifici adibiti a scuole materne e asili nido;
– agli edifici adibiti a piscine, saune e assimilabili;
– agli edifici adibiti ad attività industriali ed artigianali e assimilabili, nei casi in cui ostino esigenze tecnologiche o di produzione.

Negli edifici adibiti a residenza e assimilabili, il limite della durata giornaliera di esercizio dell’impianto termico non si applica nei seguenti casi:

– se il calore proviene da centrali di cogenerazione oppure se vi siano pannelli radianti incassati nell’opera muraria;
– se vi è un gruppo termoregolatore pilotato da una sonda di rilevamento della temperatura esterna con programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli della temperatura ambiente nell’arco delle 24 ore; la temperatura negli ambienti deve essere pari a 16°C + 2°C di tolleranza nelle ore al di fuori della durata giornaliera;
– se in ogni unità immobiliare sia installato un sistema di contabilizzazione del calore e un sistema di termoregolazione della temperatura con un programmatore che consenta la regolazione almeno su due livelli della temperatura nell’arco delle 24 ore;
– se l’impianto termico è condotto mediante “contratto di servizio energia” purché la temperatura negli ambienti, durante le ore al di fuori della durata di legge, non siano superiori ai 16°C + 2°C di tolleranza.

Come si paga il riscaldamento nei condomini

Negli edifici a carattere residenziale, durante il funzionamento dell‘impianto di riscaldamento (prodotto da impianti sia centralizzati sia autonomi), la media delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare, non deve superare i 20°C + 2°C di tolleranza. L’impianto termico condominiale, quindi, deve essere in grado di erogare tale calore. È nulla (quindi impugnabile in ogni tempo) la delibera condominiale che dovesse decidere di tenere una temperatura più elevata.

In caso contrario, il condòmino che non riuscisse ad avere la temperatura di legge nella propria unità immobiliare può chiedere la convocazione dell’assemblea per gli opportuni provvedimenti volti a ripristinare la piena funzionalità dell’impianto o, in caso di insuccesso, può rivolgersi al giudice per ottenere un provvedimento (anche in via d’urgenza) che obblighi il condominio ad adottare quanto necessario per sopperire alle deficienze dell’impianto ed eventualmente chiedere il risarcimento del danno.

Tuttavia, non perché l’impianto non funziona a norma il condomino può evitare di pagare gli oneri condominiali, lamentando il disservizio: le due prestazioni viaggiano, infatti, su binari paralleli che non si incontrano mai. Pertanto, l’inadempimento dell’una prestazione non è una valida scusa per sospendere l’altra [1].

La legge non impone a tutti i condomini di tenere la stessa temperatura nelle proprie unità immobiliari: ciascuno di essi, infatti, paga in base a quanto effettivamente consumato coi propri termosifoni (oltre a una quota fissa riferita alle dispersioni e alle spese generali per la manutenzione dell’impianto).

I condomini confinanti che devono prelevare maggior calore dai propri termosifoni per compensare quel calore che viene ceduto agli alloggi freddi, non possono pretendere nulla né dal vicino né nei confronti del condominio in sede di ripartizione della spesa complessiva del riscaldamento mediante l’adozione dei cosiddetti coefficienti correttivi.

Allo stesso modo, qualora in un appartamento passino le tubature della rete di distribuzione che porta il calore negli altri alloggi, con ciò rendendolo più caldo, per tale indiretto vantaggio non si può chiedere alcun pagamento aggiuntivo al condomino interessato. Infatti, l’attraversamento della proprietà individuale non determina alcuna appartenenza, ma semmai implica una servitù a carico dell’appartamento interessato [2].

Cambia l’APE

Come detto in apertura, dal primo ottobre cambiano calcoli e documenti per misurare i consumi: entrerà infatti in vigore il nuovo modello di attestato energetico per gli immobili. Ad essere modificate sono, in particolare, le modalità per la compilazione dell’attestato di prestazione energetica (o Ape) degli edifici e delle unità immobiliari [3].

Ecco cosa cambia. Aumenta il numero dei servizi energetici presenti in casa che vengono presi in considerazione ai fini dell’esame di efficienza: oltre alla climatizzazione invernale e alla produzione di acqua calda sanitaria, vengono esaminati – se presenti – la climatizzazione estiva e la ventilazione meccanica.

Inoltre, la qualità energetica del fabbricato o dell’alloggio è ricavata confrontando l’unità con il cosiddetto edificio standard, un fabbricato “ombra” in tutto e per tutto analogo al progetto reale, ma progettato in condizioni ottimali. Come in passato, il giudizio finale è espresso in classi di merito identificate da lettere, dalla A (la più virtuosa) alla G.

I livelli complessivi sono 10 (prima erano sette): i primi quattro fanno tutti riferimento alla lettera A, con quattro gradazioni, da A4 (il più efficiente) ad A1.

Ultima novità di rilievo è che decadono i sistemi regionali per il calcolo delle prestazioni dell’edificio. Pregio della nuova norma, infatti, è essere riuscita infatti a far dialogare le Regioni, riportando la metodologia di esame delle prestazioni a un unico sistema nazionale, con poche eccezioni.

La nuova targa energetica è composta secondo le nuove regole in tutti i casi di nuova costruzione o risanamento di uno stabile già esistente. Nei casi di vendita o affitto dell’unità immobiliare l’attestato è prodotto secondo il nuovo modello solo se non è già presente un vecchio Ape o Ace ancora in corso di validità (il documento ha una vita di 10 anni, salvo lavori di ristrutturazione tali da modificare le prestazioni energetiche del fabbricato).

[1] Cass. sent. n. 19616/2012.
[2] Trib. Milano sent. del 26.01.2012.
[3] La normativa di riferimento, che modifica il Dlgs 192/2005 e attua in Italia la direttiva europea 2010/31/Ue, è contenuta nelle linee guida emanate dal ministero dello Sviluppo economico lo scorso 26 giugno (pubblicate sulla Gazzetta n. 162/2015).

http://www.laleggepertutti.it/96956_imp … T0iRP.dpuf

 

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