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La vita alla radice dell’ economia

da “La vita alla radice dell’economia” ed. Mag Verona 2007 a cura di Vita Cosentino e Giannina Longobardi

Care amiche, vi propongo un’elaborazione-narrazione, frutto di esperienze politiche attraversate dalla Rete delle Città Vicine” in oltre 12 anni d’impegno per la cura e l’economia relazionale delle città che spero possa giovare alle riflessioni in merito al “Primum vivere” e ai temi che approfondiremo all’incontro di Paestum 2012 che ci vedrà presto insieme. Un saluto ricco d’emozionie desiderio sincero di scambio e d’ascoltoIl tema dell’economia rappresenta uno dei punti cardine che connotano oggi le città quali scenari dove entrano in gioco e si misurano i conflitti più significativi e inquietanti del nostro tempo. Proprio per questo, molte questioni vanno secondo me approfondite, circoscrivendo e prendendo in esame le città come misura e chiave interpretativa per leggere le complesse problematiche che riguardano il mondo intero. La vita di molte città, soprattutto delle megalopoli, va indagata attraverso una lettura che faccia capire in che cosa queste grandi città che condizionano l’economia mondiale, il clima, l’agricoltura, si diversificano l’una dall’altra e quali siano invece gli elementi unificanti che rimbalzano da una megalopoli all’altra, rivelando così l’effettivo orientamento della nostra epoca. Di questi argomenti, soprattutto della natura delle “ Città globali” ci parla la sociologa Saskia Sassen che ne ha fatto il centro dei propri studi e del proprio interesse. Interessante ad esempio i passaggi nei quali Sassen cita le esperienze di economia informali, creative, non regolamentate che stanno avendo corso in molte megalopoli a opera soprattutto di donne che hanno fatto per se stesse la scelta di svolgere lavori autonomi con tutte le contraddizioni che questi presentano. Attraverso tali lavori, oltre a mettere in forma la propria inventiva e il loro protagonismo, queste donne sollecitano in buona parte l’economia di una discreta fetta di mondo.
Alla luce di quanto espresso, si può pensare d’intervenire con una politica nuova nel merito di un sistema economico che pretende d’imporsi secondo logiche di profitto e di mercato nella gestione e nel divenire della città? Ed è proponibile pensare che la pratica politica delle donne agita nelle città possa apportare contributi fecondi per la creazione di una nuova civiltà attraverso la tessitura di scambi, relazioni e apertura di conflitti? Per l’esperienza acquisita mediante la politica che agisco con “Città Felice” a Catania, penso che questo sia possibile perché di recente qualcosa di significativo è accaduto nella mia città, ne parlerò dopo più dettagliatamente, proprio nel merito della creazione di un’economia diversa riferita agli spazi e alle forme urbane, attenta alla vera natura e alla complessità del territorio.
Le città del presente vengono sempre più governate secondo logiche di profitto e di mercato, stravolte da interventi e misure che oltre a sprecare inutilmente il denaro pubblico, ne frantumano la memoria, la storia e l’immagine, per essere ridotte a una visione d’insieme che le rende paragonabili a delle aziende. Proponendosi in questi termini, questa economia urbana mostra un volto ostile ed estraneo al contesto in cui pretende di ridefinire progetti, modificare spazi, investire risorse non tenendo conto dei bisogni reali e delle necessità delle donne e degli uomini che abitano le città. Se nel corso della storia le donne hanno saputo governare le case e adoperare le risorse in modo assennato, possiamo ben ripensare un’economia che prenda senso dal pubblico-domestico, cioè dalla sapienza e dalla sensatezza dimostrata nel tempo dalle donne con il loro modo d’interagire con le cose del mondo, intendendo la dimensione del pubblico come il continuum o la dilatazione dello spazio domestico dove far circolare l’esperienza femminile e mettere in essere la scienza della casa.
Lungo i mesi durante i quali ho riflettuto per individuare forme intelligenti d’economia insieme alla M.A.G. di Verona e alle altre realtà con le quali ho organizzato il convegno “La vita alla radice dell’economia” e parlandone in maniera approfondita con le donne e gli uomini della Rete delle Città Vicine durante l’incontro di marzo avvenuto a Mestre, ho capito che quando le pratiche politiche sono agite positivamente, si crea di per sé quel di più di senso che determina il reale mutamento delle cose. Sono quindi le azioni, le pratiche, le analisi e le elaborazioni che trasformano e modificano nel profondo gli uomini, le donne, le logiche, e che danno l’avvio alla nascita di nuovi pensieri e di nuovi paradigmi. In merito a questo, ho colto in maniera sempre più chiara come la politica che pratichiamo le donne e gli uomini della Rete delle Città Vicine abbia incrociato frequentemente in questi anni lungo il proprio percorso, varie forme d’economia riferite alle città nelle questioni via via affrontate. Questo si è reso possibile grazie all’aver fatto proprio, affermandolo nel tempo, il senso dell’importanza della differenza sessuale in ogni aspetto della realtà che la Rete delle Città Vicine si è trovata ad analizzare e affrontare. Le Città Vicine si sono messe in gioco partendo dall’attenzione alla qualità delle relazioni umane e alla bellezza delle forme architettoniche cittadine, per una visione nuova di partecipazione sessuata e governo consapevole delle città. Approfondendo inoltre i conflitti nelle relazioni di differenza tra uomini e donne rispetto al modo differente di guardare e ripensare le città, l’arte la politica, il lavoro, la cura e l’accoglienza di migranti, dando vita così ad un nuovo modo di concepire e fare l’economia. Penso quindi che le iniziative e il pensiero elaborato dalla Rete delle Città Vicine non solo abbiano fatto risuonare il senso della grandezza femminile da una città all’altra ma abbiano anche dato l’avvio ad una riflessione originale sul sistema economico vigente attraverso lo scambio politico avvenuto tra le città in ascolto e relazione tra loro.
Questi sono i criteri e il senso in merito al quale ci orientiamo anche a Catania dove io e altre donne dell’associazione La Città Felice, mettiamo in gioco la nostra competenza ponendo al centro del nostro interesse la città e l’arte di saper tessere relazioni tra noi e intorno a noi. Ciò avviene contemporaneamente al fatto che a La Città Felice amiamo mantenerci sempre in ascolto di quel che avviene a Catania, la città dove le nostre vite hanno corso e dove elaboriamo e operiamo con modi originali nel guardare e ripensare gli spazi cittadini, attente ad interpretare le relazioni e la qualità dei rapporti di convivenza che vi si svolgono. Dopo 20 anni di lavoro politico in città, ci proponiamo con il senso della nostra esperienza e ci autorizziamo ad intervenire con elaborazioni, analisi ed iniziative in merito agli sprechi, sventramenti, demolizioni e speculazioni che minano alla base il senso dell’abitare e infieriscono sui sentimenti e sulla qualità della vita delle e dei cittadini. Non è solo l’evento negativo che viene a crearsi in città a sollecitare in me e nelle altre/i, il desiderio di metterci in gioco perchè ci sentiamo costantemente in gioco giorno per giorno, attraverso le relazioni, attività e interventi che sappiamo sviluppare nel territorio. Anche se frequentemente con il nostro lavoro ci è capitato di prenderci cura di singoli fatti accaduti a Catania, abbiamo sempre cercato di leggerli e collegarli in una visione più ampia, alla luce del loro inquadramento nel contesto generale della città, affrontando i problemi da vari punti di vista, e cercando di non schierarci in posizioni ferree. Quando a La Città Felice decidiamo di prendere a cuore una questione, cerchiamo innanzitutto di trovare le mediazioni giuste per instaurare rapporti di comunicazione, relazione e scambio di pratiche con donne e uomini impegnate/i politicamente in altre realtà come associazioni, comitati spontanei, gruppi, sindacati, piccoli partiti, abitanti, ecc che amano come noi la città e guardano in maniera sensata al suo divenire. Abbiamo cura però, che anche dopo aver risolto la questione in modo più o meno soddisfacente, i contatti con queste e questi non si disperdano, ma si mantengano vivi sulla base della conoscenza avviata e dell’esperienza acquisita insieme.
A Catania la messa in vendita di palazzi storici appartenenti a tutta la comunità cittadina, mutamenti forzati di stili di vita di intere zone trasformate in area “risorsa” (cioè zone dalle quali ricavare lucro e profitto), smantellamenti di palazzi storici e sventramenti del sottosuolo, sono all’ordine del giorno. Circa un anno fa a La Città Felice ci siamo messe in gioco con donne e uomini di altre realtà politiche per impedire che oltre 40 palazzi in stile Neoclassico e Liberty venissero abbattuti a causa del previsto raddoppio della linea ferroviaria Catania-Siracusa che al presente attraversa il sottosuolo del centro storico cittadino con un binario unico. Avevamo colto la grossa speculazione economica che stava all’origine di quel dissennato progetto, ma devo dire che la cosa che più mi scandalizzava, visto che sono un’ amante dell’arte, della bellezza e della memoria dei luoghi, era l’arroganza con cui alcuni “potenti della città” avevano deciso di abbattere tutte quelle belle opere architettoniche, riferimenti storici, artistici e affettivi per donne e uomini. In seguito alle iniziative organizzate insieme ad altre e altri in forma di convegni, assemblee cittadine, ricerche, studi, manifestazioni creative, performance e installazioni dal forte impatto visivo, molti urbanisti, studiosi, intellettuali ed “Italia Nostra” si sono interessati al problema opponendosi all’abbattimento dei palazzi e facendo sì che quel progetto venisse sospeso e che si prendesse in considerazione un altro dagli effetti meno devastanti. Anche alcuni ingegneri che avevano opportunisticamente collaborato con l’amministrazione comunale, la società privata “Italferr” e i soliti affaristi al progetto dello sventramento del sottosuolo del centro storico, si sono resi conto che avevano sostenuto un’idea assurda e si sono impegnati a proporre soluzioni alternative. L’aspetto politicamente più significativo emerso dalla vicenda, a parer mio e di qualche altra de La Città Felice, è che in quell’occasione eravamo riuscite a curare in maniera ancora più intensa delle precedenti, il piano dello scambio e dell’ascolto con le donne e gli uomini degli altri luoghi politici che si erano impegnate/i con noi nell’affrontare il problema.

Era risultato evidente inoltre, come i rapporti con queste donne e questi uomini si fossero fortificati nel tempo e che anche il conflitto tra pensiero femminile e pensiero maschile aperto già in occasioni precedenti per il modo differente di guardare e pensare la città fosse andato avanti in maniera più fluida. Secondo me, quello che era anche andato bene, oltre ad aver evitato la demolizione dei palazzi, era stata la competenza mostrata da quelle e quelli che avevamo condotto insieme tutta l’operazione nell’esserci assunte/i la cura dell’intera vicenda a partire dalle dinamiche che si erano sviluppate tra noi. Parlando di “noi” mi riferisco anche alle donne e agli uomini che abitano i palazzi che avrebbero dovuto essere demoliti, abitanti che hanno trovato in sé e insieme a noi le parole giuste da dire in merito allo sconvolgimento che stava per abbattersi sulle loro vite. Inizialmente protagonisti di un dramma che stava arrecando loro sgomento e dolore, hanno potuto registrare in seguito, grazie anche ai successi ottenuti, che ci sono percorsi originali e ricchi di affettività che vanno oltre quelli rivendicativi oppure clientelari e mafiosi, per arrivare alla comprensione e alla risoluzione dei problemi. La bellezza che emerge da questa storia consiste nel fatto che non vogliamo smettere di incontrarci, e quando ci vediamo continuiamo a dirci delle nostre vite, delle cose che portiamo avanti, di cosa pensiamo di fare e come vorremmo che fosse Catania.
Quei legami si sono mostrati in tutta la loro intensità durante la creazione di una performance che ha preso vita durante una delle tante iniziative in seno alla storica piazza Federico di Svevia, che da oltre 10 anni costituisce lo spazio concreto e simbolico nel quale La Città Felice opera politicamente insieme ai suoi abitanti. In quell’occasione ciascuna/ciascuno, ha voluto legarsi a un’altra o a un altro con una fascia di stoffa colorata. Ognuna/o ha scelto un colore diverso, componendo così nell’insieme dei corpi e delle stoffe un tessuto di donne e di uomini che motivavano ad alta voce la ragione che le/li aveva spinte/i ad intrecciare una parte della propria esistenza con quella di un’altra donna o di un altro uomo per amore delle relazioni e della città.

Tratto da: http://paestum2012.wordpress.com/

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