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L’ eurocrazia è ormai una dittatura, un Leviathan oppressivo e brutale

Pier Giorgio Gawronski. Economista, pubblicista. In passato ha lavorato all’ufficio studi della BNL, all’OCSE, all’UNCTAD, alla “policy unit” della Presidenza del Consiglio. E’ stato attivista e consulente di numerose Ong in Italia e all’estero (Amnesty International, Observatoire de la Finance). Cura un blog sul Fatto Quotidiano

Intervista.

Nell’ultima intervista pubblicata su “Oltre l’euro”, Lei ci spiegava in modo dettagliato come quello che definiva “il piano Draghi”, vale a dire un Quantitative Easing prolungato in cambio di riforme d’austerità all’infinito per i paesi dell’Europa del sud, non fosse politicamente sostenibile. Eppure, dopo le elezioni greche del gennaio scorso e il tentativo di Tsipras e Varoufakis di “alzare la testa”, la reazione dell’eurocrazia è stata di annullamento totale della democrazia per perseguire questo piano. Accadrà lo stesso anche negli altri paesi dell’Europa del sud?

In quella intervista avevo però anche sottolineato l’appoggio della BCE all’eurocrazia. Ricordavo che la BCE – poiché controlla la moneta – è l’unica istituzione dell’eurozona dotata di armi atomiche (finanziarie).

Sostenevo pertanto che la Grecia è troppo piccola per poter “alzare la testa” con successo. Quell’analisi si è dimostrata corretta, oltre le mie previsioni.

La Grecia nel primo semestre del 2015 ha chiesto di mettere fine alla fase di eccessiva austerità grazie a un parziale default sul debito sovrano. I suoi creditori per tutta risposta hanno provocato una crisi bancaria: hanno spaventato i depositanti, facendo circolare la voce che la Grecia sarebbe uscita dall’Euro; e mettendo in dubbio che la BCE avrebbe svolto correttamente, nel caso delle banche commerciali greche, il suo ruolo di prestatore di ultima istanza. Al culmine del conflitto, la BCE ha negato la liquidità dovuta alle banche (‘dovuta’ perché la BCE è la banca centrale anche della Grecia), ha cioè rivolto le sue armi atomiche contro la Grecia invece che in difesa della Grecia, piegandola inesorabilmente.

Ha così segnalato la sua determinazione a provocare una crisi finanziaria (banche private, o titoli di stato, non cambia molto) in tutti i paesi che dovessero ribellarsi all’ortodossia eurista.

Questa plateale mancanza di scrupoli cambia lo scenario. Non è più possibile illudersi che nell’eurozona si possano fare politiche espansive non in linea e non concordate con l’eurocrazia.

A breve si voterà in Spagna, altro passaggio importante per la crisi della zona euro. Riuscirà Podemos, al contrario di Syriza, a modificare le politiche dell’austerità imposte nel suo paese e darà quella scintilla che serve al cambiamento auspicato ormai dalla stragrande maggioranza dei cittadini dell’Europa del sud?

Il caso Grecia dimostra che finché l’Eurozona non regolamenta l’uso delle ‘armi atomiche finanziarie’ in dotazione alla BCE, e non rende efficaci tali regole grazie alla forza equilibrante di adeguati contropoteri (check and balance), la maggioranza di turno potrà sempre imporre ai ‘devianti’ tutto quello che vuole, senza limiti né confini.

Questa dittatura della maggioranza di tipo giacobino non ha niente a che vedere con la democrazia come la intendiamo da 220 anni in Occidente. È un Leviathan, un mostro iper-statale oppressivo e brutale, pericoloso e distruttivo, che tenta di nascondere i suoi pessimi risultati economici, ormai agli atti, dietro la crescita generata da stimoli internazionali.

Penso al prezzo del petrolio. E alla svalutazione dell’euro, che deprime gli Stati Uniti e la Cina ma tiene a galla l’Europa. Proprio la solita vecchia cara svalutazione, la cui efficacia viene pretestuosamente negata a priori quando si discute di squilibri competitivi intra europei. Podemos dovrà trovare alleati negli altri paesi europei, fare un lavoro politico eccellente, prima di sognarsi di sfidare l’eurocrazia.

Ritiene che la crisi dell’eurozona possa essere risolta dalla costituzione dell’Europa politica? Le recenti dichiarazioni dei ministro delle Finanze francese Macron sollecitano la creazione di un budget federale europeo. Crede che la Germania, indebolita dalle recenti inchieste su VW e BMW, possa accettare questa soluzione?

Un budget federale europeo sembra essere un passo nella giusta direzione: l’Europa si doterebbe di un nuovo possibile strumento per affrontare la crisi. Ma in realtà non servirebbe a niente: a che serve avere degli strumenti se manca la volontà di usarli? Gli strumenti ci sarebbero anche ora: ma se non si riscrivono da capo a fondo i Trattati dell’eurozona, se cioè non si sancisce anche sul piano culturale la legittimità delle politiche economiche adottate da paesi tanto diversi come l’America e la Cina dopo il 2008, le politiche economiche nell’ eurozona non cambieranno quasi per nulla.

Al contrario, in cambio di un budget federale più ampio la Germania chiederà un maggiore controllo. Quanto all’Europa politica, in molti si illudono di costruire un’Europa democratica semplicemente consentendo ai cittadini di votare: non è democrazia. La democrazia presuppone una Costituzione, che è la carta dei dritti di tutti quelli che perdono le elezioni.

In Europa significa: prevedere i diritti economici e finanziari dei popoli e delle nazioni aderenti, validi a prescindere da chi ha la maggioranza; ed organizzare istituzioni e meccanismi di garanzia per la loro tutela.

In caso contrario, ci si illude di limitare l’ortodossia di Bruxelles, Berlino e Francoforte, ma ancora una vola si otterrà l’esatto contrario: aggravare le politiche vigenti, legare mani e piedi i paesi del sud lasciandoli alla mercè della Germania e degli eurocrati.

In Italia intanto, mentre il nostro premier esulta per uno zero virgola rispetto ad un crollo di dieci punti percentuali, l’austerità frutto dell’insostenibilità della partecipazione alla zona euro continua a produrre i suoi drammi sociali. La politica di tagli alla Sanità applicata dal ministro Lorenzin mette a rischio la somministrazione di diversi esami clinici da parte dei medici di base. Quali sono gli effetti di questa politica, a suo dire, e crede che questa sia la strada per la privatizzazione del servizio sanitario nazionale?

Che stiano privatizzando la sanità è un fatto, non un’ipotesi. L’invarianza della spesa mentre crescono i bisogni (per l’invecchiamento della popolazione) – stante la limitata riduzione degli sprechi, che pure c’è – rende il settore pubblico sempre meno capace di soddisfare la domanda di cure: le attese si allungano, ecc.

La gente viene spinta verso il settore privato, proprio mentre il resto del mondo – si pensi all’America – va nella direzione opposta. Ed è uno sbaglio, perché se c’è un settore dove il mercato funziona male, questo è proprio la sanità. Questa perdita di efficacia del settore sanitario porta nel tempo ad un declino della produttività negli altri settori.

Il calo dei prezzi delle materie prime peggiora lo stato della deflazione dell’eurozona. Secondo le previsioni degli analisti, l’eurozona potrebbe presto andare verso il terreno della deflazione a segno negativo. Crede possibile un nuovo intervento della Bce per invertire questa tendenza e come spiega il fatto che le precedenti operazioni di TLTRO e ABS varate da Draghi non siano riuscite ad aumentare il tasso di inflazione?

Se l’Europa cadrà o meno in deflazione è una questione davvero poco interessante.

L’eurozona è già in una situazione di inflazione eccessivamente bassa. C’è chi sostiene che ciò – ed ancor più la deflazione – favorirebbe i redditi dei consumatori, ma è un’illusione. Qui non si tratta di cali di prezzi dettati da guadagni di produttività, come quando i telefonini costavano sempre meno perché i produttori stavano imparando a farli.

Qui i prezzi calano o si fermano perché gli stipendi calano o si fermano. Con l’aggravante che i debiti pubblici in questa situazione non scendono.

Lo schema è: meno sicurezze → meno consumi → meno fatturato delle imprese → meno inflazione e meno occupati → meno entrate fiscali → più debito pubblico → meno spese pubbliche → meno fatturato delle imprese → ecc. La BCE non riesce a fermare questa spirale depressiva perché le sue regole del tutto superate le impediscono di finanziare direttamente l’economia. Perciò i soldi che stampa restano nel circuito finanziario e sono poco efficaci.

Per quel che riguarda la macroeconomia internazionale, la Russia e la Cina continuano nella loro strategia di accumulare riserve auree nel tentativo di creare una nuova valuta di riserva internazionale convertibile in oro. La borsa di Shangai accetta già l’oro come collaterale. Siamo al ritorno della “reliquia barbarica”, secondo la definizione di Keynes, come valuta di scambio internazionale?

Non c’è nulla di male se l’oro viene usato come moneta nelle transazioni internazionali (o anche nazionali). Purché non sia l’unica moneta consentita: in tal caso l’offerta di moneta diventerebbe rigida e non sarebbe più possibile adattarla a quanto richiesto dalle diverse circostanze storiche.

L’equivalente moderno della reliquia barbarica – cioè del sistema aureo, dei cambi fissi con l’oro – è l’euro, il sistema di cambi irrevocabilmente fissi fra paesi europei.

Riuscirà la strategia di Mosca e Pechino, considerando anche la nuova Banca dei Brics costituitasi formalmente all’ultimo vertice di Ufa nel luglio scorso, a sfidare l’egemonia del dollaro?

La competizione fra valute per conquistare un ruolo di maggiore preminenza negli scambi internazionali è un tema che stimola molte fantasie e molte dietrologie; ma ha pochissima rilevanza economica. In ogni caso sarà il mercato, come sempre a decidere quale valuta utilizzare, e non è un male; e mi pare che il dollaro sia ancora destinato a rimanere a lungo la valuta preferita.

La svalutazione dello yuan segna un deciso cambio di politica economica da parte della Cina, che sembra interessata a sostenere la domanda interna con la conseguente riduzione delle importazioni. In che misura la riduzione dell’import cinese può aggravare la deflazione delle materie prime e diminuire gli scambi commerciali mondiali?

Tutti quelli che svalutano in questa fase storica contribuiscono alla deflazione e alla disoccupazione nel resto del mondo. Ma la Cina ha svalutato meno del 5%, l’Europa del 15-20%. Considero quindi la svalutazione dello Yuan una manovra difensiva della Cina di fronte alla forte svalutazione europea, una risposta molto moderata.

Con la svalutazione, la Cina stimola non la domanda interna bensì quella estera, le sue esportazioni, ma non interrompe la transizione verso un aumento dei consumi interni. Quanto alle materie prime, penso che la caduta dei prezzi – che non dipende dal valore dello Yuan – continuerà fino al 2017: chi vivrà vedrà.

Pier Giorgio Gawronski è uno dei protagonisti di “Oltre l’euro”, con un contributo molto significativo dal titolo: “Il piano Draghi non è politicamente sostenibile”.

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews … 6&pg=12881

 

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