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Gestione di un condominio formato da più edifici

La gestione del condominio formato da più edifici: Cassazione del 26.07.2012 n. 13262

In presenza di più edifici gli schemi giuridici di gestione di queste strutture immobiliari possono essere due: il condominio unico (anche se complesso, ma sempre giuridicamente unico) o il supercondominio (che può essere descritto come una "federazione" di più condominii). Le differenze riguardano la gestione e ripartizione delle spese, la composizione dell’assemblea e la "competenza" della stessa sulle materie da discutere e deliberare.

Quando si parla di condominio si tende sempre ad immaginare un unico edificio (anche se formato d più scale), ma questa è solo una delle possibilità perchè, in realtà, la vita reale presenta situazioni molto più varie e molto più complesse.

Infatti, (considerando anche le tecniche di costruzione) è possibile che nel condominio siano presenti anche più edifici autonomi tra loro in quanto costruiti fisicamente separati (inoltre, nulla esclude che più edifici possano essere sempre autonomi tra loro anche se costruiti in mera aderenza). In queste situazioni occorre comprendere come gestire queste realtà complesse. Del resto, situazioni così complesse possono portare a dubbi giuridici di gestione, come, ad esempio, quanti amministratori devono essere nominati ? Quante assemblee convocare ? Come ripartire le spese condominiali delle aree comuni ai diversi edifici o come ripartire le spese dei singoli edifici ? Quanti rendiconti redige e presentare ? E in presenza di gestioni non soddidfacenti sorgono – ovviamente – liti, che potrebbero essere evitare conoscendo meglio il fenomeno.

La soluzione di tutte queste problematiche dipende dall’esistenza di un unico condominio anche se complesso (cioè formato da più edifici, sempre e comunque strutturalmente autonomi, costruiti fisicamente separatamente o costruiti in una mera aderenza) oppure di un supercondominio. con quest’ultima locuzione non si intede un “grande” condominio, ma si intendono tutte quelle situazioni in cui ogni edificio è un autonomo condominio, ma esistono delle parti comuni (o al servizio) dei diversi edifici come i viali di accesso, l’impianto di illuminazione, il servizio di portineria ecc.

Per comprendere se si è in presenza di una (condominio unico) o dell’altra opzione (supercondominio) occorre analizzare gli atti risalenti al momento della nascita del condominio. Per comprendere meglio questo aspetto è opportuno dire che il condominio sorge nel momento in cui si passa da un unico proprietario ad una pluralità di proprietari (per pluralità si intende un numero superiore ad uno, quindi, i proprietari possono anche essere solo due). Per essere più chiari basta pensare ad un semplice esempio l’impresa costruttrice Alfa srl compra un suolo su cui edifica 5 edifici separati, autonomi e distanti tra solo, gli edifici hanno in comune tra loro il suolo su cui sono costruiti, il viale di accesso, l’illuminazione del viale i posti auto sul viale e il serviizo di portineria all’ingresso del viale, ultimate le costruzioni, la società Alfa decide di vendere l’appartamento sito nel secondo edificio al Sig. Tizio, in questo momento si è costituita la pluralità di comproprietari e in questo momento si è costituito il condominio, infatti, nel momento in cui dei piani o porzioni di piano (cioè degli appartamenti) sono in proprietà esclusiva di almeno due persone il condominio può dirsi costituito. Ai fini dell’individuazione del momento della “nascita” del condominio è’ irrilevante, si ripete, il numero dei comproprietari, potendoci essere anche solo due proprietari uno di un appartamento e il secondo di tutti gli altri appartamenti. Così come è irrilevante se i due proprietari di trovano in edifici separati o in un unico edificio.

In poche parole, nel momento in cui si viene a formare la pluralità di proprietari degli appartamenti può dirsi sorto il condominio. Il principio che spiega quanto affermato è semplice: il condominio è una mera situazione di comunione (anche se sui generis) o contitolarità di un diritto reale (cioè, la comproprietà sui beni comuni ex art. 1117 c.c.) e che è regolata in modo (parzialmente) difforme dalla comunione ordinaria, solo per la particolarità del fenomeno e per la rilevanza sociale dello stesso. Da quanto detto discende anche, come corollario, che per costituire il condominio non è necessario nessun atto costitutivo (come per le società) e la redazione di un regolamento o la nomina di un amministratore, previsti dal codice civle come obbligatori se sono superati un certo numero di comproprietari, sono richiesti solo al fine di permettere la migliore gestione del Condominio e, quindi, non al fine dell’esistenza dello stesso.

Data per scontata la “nascita” del condominio, occorre individuare la più corretta veste giuridica – organizzativa utilizzabile. Per affrontare e risolvere questo problema occorre analizzare il regolamento di condominio se redatto prima della nascita del condominio (quindi, prima della pluralità dei comproprietari), oppure, in mancanza, occorre analizzare il primo atto di vendita del primo appartamento (cioè l’atto con cui è stata creata la pluralità di comproprietari ed è nato il condominio). Se il regolamento e il primo atto di vendita nulla dicono, un sistema complesso anche di più edifici (siano questi vicini o lontani) che hanno in comune il suolo su cui sono costruti i viale di accesso, l’illuminazione dei viali ecc…, è un unico condominio, che per quanto complesso, sarà sempre amministrato da un unico amministratore e richiderà tendenzialmente un unica assemblea di tutti i proprietari, con un unico rendiconto ecc.. Se, invece, dagli atti risulta che ogni edificio è stato considerato come ”singolo” condominio, si avranno tanti condomini per ogni edificio con relativo amministratore e la relativa assemblea (a cui parteciperanno solo i proprietari dell’edificio) e, contemporaneamente, ci sarà il supercondominio che gestirà i beni “comuni” a tutti gli edifici (viale di accesso, illuminazione del viale, portineria ecc.), il supercondominio avrà un proprio ed ulteriore amministratore e avrà l’assemblea formata da tutti i proprietari dei diversi edifici.

Da quanto detto risulta evidente che la presenza di un unico condominio (per quanto complesso possa essere) e di un supercondominio non deriva automaticamente dalle modalità costruttive, ma dagli atti giuridici (regolamento e contratti) predisposti al momento della costiutizione della pluralità dei proprietari.

Le differenze tra le due tipologie di gestione si notano oltre che nelle “competenze” delle singole assemblee e nella ripartizione delle spese. Infatti, in caso di supercondominio l’assemblea ha competenza solo per i beni “comuni” a tutti gli edifici, ma non potrà deliberare o ripartire spese relativamente al singolo edifico, trattandosi di questione interne “altro condominio”, mentre, in caso di condominio unico, ma complesso, l’assemblea potrà deliberare o ripartire spese relativamente a tutto il complesso immobiliare, ma la ripartizione delle stesse seguirà i criteri usuali previsti dal 1123 c.c., quindi, in un unico condominio, per quanto complesso, la spesa di rifacimento della pluviale che serve solo l’edifico “a” sarà a carico solo dei priprietari del medesimo edificio ecc.

Ovviamente, non possono mancare situazioni peculiari, infatti, anche in un condominio unico, ma complesso, alcune spese relative, apparentemente, ad un unico edifico possono essere addossate ripartite a carico anche degli altri edifici, se si tratta di opere o spese che riguardano tutti, come, ad esempio, le spese per riparare le fondazioni (sotterranee) comuni a tutti gli edifici, anche se lo sviluppo verticale dei fabbricati è autonomo e separato, ovviamente, bisognerà provare che le fondazioni sono uniche oppure, al contrario, bisognerà provare che le fondazioni sono “comuni” ai diversi tronconi verticali di costruzione (e, quindi, si tratterà di un unico edificio).

Cassazione civ. sez. II, del 26 luglio 2012 n. 13262

3. Il primo motivo di ricorso principale avanzato dalla Maison des Vacances denunzia violazione ed erronea applicazione degli artt. 1321 e 1322 cod. civ. e dei principi dettati dal libro V titolo II capo IV (interpretazione) stesso codice, lamentando che la Corte di appello abbia affermato l’unicità dello stabile condominiale, sia pure diviso in due tronconi, in contrasto con le previsioni del regolamento condominiale che descrivevano il condominio composto da due corpi di fabbrica e, nell’indicare le parti comuni, non facevano alcun cenno alle fondazioni, che in realtà erano separate per ciascun lotto. Ciò facendo il giudice a quo ha infatti disatteso la precisa volontà contrattuale dei singoli proprietari, come racchiusa nel regolamento, di tenere separati i due corpi di fabbrica quanto meno in relazione alle parti non comuni agli stessi.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha giustificato la soluzione accolta osservando che la mancata menzione delle fondazioni nell’elenco delle parti comuni contenuto nella clausola del regolamento condominiale invocata dalla parte convenuta non costituiva elemento di per sé sufficiente ad escludere la comunione di tale bene, non rappresentando tale previsione un titolo contrario in grado di superare la presunzione di condominialità posta dall’art. 1117 cod. civ. con riguardo al bene predetto.

Il ragionamento è giuridicamente corretto e merita di essere condiviso. La disposizione di cui all’art. 1117 cod. civ. pone una presunzione di condominialità per i beni ivi indicati, la cui elencazione non è tassativa, che deriva sia dall’attitudine oggetti va del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune; ne consegue che non solo tale disposizione ha funzione ed efficacia integrativa del regolamento condominiale, ma altresì che la presunzione legale da essa posta può essere superata solo dalla prova di un titolo contrario, che si identifica nella dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo ad un soggetto diverso.

Ciò posto, è evidente che tale prova non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell’edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale (Cass. n. 6175 del 2009; Cass. n. 17928 del 2007). Il regolamento di condominio, infatti, non costituisce un titolo di proprietà, ma ha la funzione di disciplinare l’uso della cosa comune e la ripartizione delle spese (art. 1138 cod. civ.) (Cass. n. 8012 del 2012).

La medesima conclusione va estesa alla indicazione contenuta nel regolamento condominiale che descriverebbe il condominio come composto da due corpi di fabbrica, clausola che il ricorso nemmeno riproduce, non potendo essa di per sé costituire, anche in ragione della sua genericità, titolo contrario in grado di superare la presunzione di condominialità che la legge pone con riguardo alle fondazioni.

Il secondo motivo denunzia violazione dei principi dettati dal libro III titolo Vili capo II cod. civ. e degli artt. 1117 e seguenti, censurando la sentenza impugnata per avere disapplicato la disposizione di cui all’art. 1117, la quale pone una presunzione di comunione per le fondazioni, ma limitatamente al fabbricato che sorge sopra di esse, non anche al corpo di fabbrica che sia ad esso solo affiancato e che poggi su altre ed autonome fondamenta.

Il terzo motivo denunzia violazione dei principi dettati dal libro dal libro IV titolo II capo IV e dal libro III titolo Vili e in particolare degli artt. 1117 e seguenti, nonché difetto e/o contraddittorietà della motivazione, lamentando che la Corte di merito non abbia indicato le basi e le ragioni su cui ha fondato il proprio accertamento in ordine alla unicità del fabbricato, richiamando i risultati della ispezione e le fotografie in modo del tutto generico.

Tutti questi motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto incentrati sulla medesima questione di fatto se le fondazioni fossero o meno comuni ai due tronconi costituenti il condominio, sono infondati.

Premesso che la soluzione accolta dal giudice distrettuale in ordine alla unicità del fabbricato condominiale e, conseguentemente, all’unicità delle fondazioni costituisce accertamento di fatto, che, come tale, è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della motivazione, si ritiene che la sentenza impugnata abbia sufficientemente giustificato la conclusione raggiunta sulla base di elementi di fatto adeguati e congrui. In particolare, pur dando atto che il fabbricato appare suddiviso in due tronconi, il giudice di secondo grado ha motivato la sua conclusione richiamando i risultati dell’ispezione giudiziale e delle fotografie allegate al relativo verbale, evidenziando come il condominio presenta un unico atrio di ingresso, continuità di corridoi tra i due tronconi ed ascensori comuni, oltre che giunti di dilatazione e che, in senso contrario, non poteva assumere rilevanza la diversa conformazione delle fondazioni dei due corpi, corrispondendo essa ad esigenze di ordine tecnico dovute alla diversa consistenza del sottosuolo e tenuto altresì conto che le fondazioni appaiono tra loro unite da una soletta di collegamento dei pozzi.

Parte ricorrente non contesta tali elementi di fatto, ma la loro rilevanza obiettiva e, in sostanza, l’esito dell’accertamento compiuto dal giudice di merito, ma è evidente che le censure sollevate, attesi i limiti del giudizio di legittimità, non possono provocare una nuova valutazione di fatto, non consentita a questa Corte.

Al di là di tale rilievo, le critiche svolte dal ricorrente, nei limiti in cui, contestando la congruità degli elementi di fatto posti dal giudice a sostegno del proprio accertamento, sono ammissibili, appaiono per altro verso non convincenti. Ciò vale in particolare per la rilevanza attribuita dal giudice di merito all’esistenza di giunti di dilatazione tra i due corpi di fabbrica, tenuto conto che, per comune conoscenza, il giunto di dilatazione, diversamente da quanto sostenuto dal ricorso, non sta affatto ad indicare la separazione tra due elementi costruttivi autonomi, potendo esso ben consistere in un elemento inserito in una struttura continua, allo scopo conferirle l’elasticità necessaria per sopportare contrazioni o dilatazioni dovute a fattori diversi, quali gli sbalzi di temperatura o fenomeni sismici.

Né un difetto di motivazione può riscontarsi per avere la decisione disatteso il parere finale del consulente tecnico d’ufficio, avendo la Corte espressamente motivato il proprio dissenso, con specifico riferimento alla diversa a conformazione delle fondazioni evidenziata dall’ausiliare, e tenuto conto altresì che i passi della sua relazione indicati dal ricorrente non sembrano affatto evidenziare elementi fattuali nuovi e confliggenti con l’accertamento fatto proprio dal giudicante. Ciò vale in relazione alla diversa conformazione delle fondazioni, che peraltro ha una ragione obiettiva pacifica nella diversa consistenza del sottosuolo, come riferito anche dal ricorso, atteso che tale circostanza non appare obiettivamente in grado di dimostrare che esse sono autonome o separate. Analoga conclusione va estesa al rilievo del consulente tecnico riportato dal ricorrente, secondo cui le lesioni riscontrate nelle fondazioni del fabbricato B non avrebbero potuto pregiudicare le fondazioni dell’altro fabbricato, una volta tenuto conto che ciò che rilevava in causa era se le fondazioni fossero comuni ai due tronconi, non già l’estensione del danno.
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