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In condominio tutto a verbale

In condominio tutto a verbale

L’amministratore del condominio potrà continuare a fissare la riunione di condominio, in prima convocazione, il mattino presto o la sera tardi. Dovrà però verbalizzare necessariamente quanto accade nell’occasione. La mancata verbalizzazione, infatti, potrebbe rendere ex se impugnabili le eventuali delibere successivamente assunte. Per l’amministratore non ci sono particolari complicazioni allorché l’assemblea sia convocata, ad esempio, presso la sua l’abitazione.

Potrebbe al contrario essere fonte di problemi nel caso in cui la convocazione venga fissata in un posto dove egli, all’ora indicata, potrà difficilmente essere presente (si pensi ad una riunione da tenersi in un ambiente esterno all’abitazione o allo studio dell’amministratore, o al condominio, alle 3 di notte). Questo quanto emerge dalla riforma del condominio e dall’analisi della giurisprudenza.

Di prassi la prima convocazione dell’assemblea condominiale viene fissata in orari particolari (es.: in notturna o alle prime luci dell’alba), di modo che vada deserta e così, nell’adunanza di seconda convocazione, si possano assumere decisioni con maggioranze più basse. Ciò posto, viene da chiedersi: è legittimo tutto questo? E come si pone detta prassi con le novità introdotte dalla riforma riguardo la redazione del processo verbale e le annotazioni da effettuarsi nel registro dei verbali delle assemblee?

Iniziamo subito col dire che, al primo quesito, la giurisprudenza ha dato risposta positiva. La Cassazione ha osservato, infatti, che «in mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di un’assemblea condominiale; né la fissazione dell’assemblea in ora notturna può ritenersi completamente preclusiva della possibilità di parteciparvi» (sent. n. 697/00).

Detto questo, resta da vedere come la prassi di riunire l’assemblea in prima convocazione in orari particolari si concili con le novità introdotte dalla riforma; novità che – come accennato – sono due. La prima è costituita dalla modifica recata all’art. 1136, ultimo comma, c.c., in conseguenza della quale la redazione del «processo verbale» deve dar conto, adesso, delle «riunioni» e non più delle «deliberazioni» dell’assemblea.

La seconda riguarda l’obbligo, posto a carico dell’amministratore, di curare – ex art. 1130, n. 7, c.c. – la tenuta del registro dei verbali delle assemblee in cui annotare «le eventuali mancate costituzioni» dell’organo assembleare. Tale nuova cornice giuridica rende, all’evidenza, non più attuale l’orientamento assertore dell’inesistenza di un obbligo di redigere uno specifico verbale attestante l’esperimento a vuoto della riunione in prima convocazione.

Orientamento secondo cui, ai fini della validità dell’assemblea riunita in seconda convocazione, era sufficiente che nel verbale di quest’ultima venisse dato conto della prima infruttuosa convocazione (per completa diserzione oppure per insufficiente partecipazione) e che basava il suo assunto, in particolare, sulla mancanza di una precisa prescrizione in materia, tale non essendo – secondo i sostenitori di questa tesi – l’ultimo comma del citato art. 1136, il quale, nella sua originaria formulazione, stabiliva – come visto – che il processo verbale dovesse avere ad oggetto, non lo svolgimento dell’assemblea, ma solo eventuali «deliberazioni» assunte dalla stessa (Cass. sent. n. 3862/96).

Le modifiche di cui si è detto valorizzano, invece, il diverso orientamento che già prima che intervenisse la riforma considerava sempre necessaria la redazione del verbale d’assemblea costituendo detta redazione una delle prescrizioni di forma da osservare «al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione ecc.)»; pena: «L’impugnabilità della delibera, in quanto non presa in conformità alla legge» (Cass. sent. n. 5014/99).
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