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Fine della comunione in condominio

Condominio, 60 anni per mettersi d’accordo sulle singole proprietà
Via Cordaroli a Trieste, quattro avvocati per sanare la situazione: le quote valevano solo per la ripartizione delle spese

È stato – in un certo senso – l’ultimo “kommunalki” staliniano di Trieste. Non certo perché lo stabile di via dei Cordaroli 28 fosse in qualche modo storicamente legato alla Russia stalinista, ma più semplicemente perché fino a pochi giorni fa tutti gli otto nuclei residenti sono stati contemporaneamente, e in modo comune, proprietari dell’intero stabile. Una reliquia dell’epoca sovietica. In pratica la proprietà era sì suddivisa in quote, che valevano però soltanto per la ripartizione delle spese ma non per la proprietà in se stessa: a determinare la singolare situazione era stata una serie di errori e dimenticanze che si sono susseguiti nel tempo fin dalla costruzione dell’immobile, datata 1951.

E così, se paradossalmente qualcuna delle otto famiglie avesse voluto cambiare casa avrebbe potuto andare – con pieno diritto – a prendere legittimamente possesso dell’alloggio del vicino: nessuno possedeva nulla a norma di legge, tutti erano proprietari dell’intero immobile, pertinenze comprese. Proprietà collettiva.

Così dunque si è andati avanti per oltre sessant’anni. Le famiglie hanno vissuto “in comune” dal 1951 fino a poche settimane fa: appartamenti, posti auto, cantine.

E questa “comunione” come detto avrebbe potuto consentire di cambiare stanza, casa, garage con piena e assoluta legittimità. Tanto che un ipotetico creditore avrebbe potuto a pieno titolo pignorare la casa del vicino. Insomma tutto – o quasi – in comune un po’ come accadeva nella società sovietica: gli abitanti delle “kommunalki” condividono cucina, bagno e molta intimità.

Sembra incredibile. Perché la vicenda – in questo caso tutta italiana – è nata come si diceva da una serie di errori e dimenticanze che di fatto nell’arco di decenni hanno impedito la suddivisione legittima delle proprietà di ciascun nucleo familiare. C’era chi aveva 10 quote, chi ne aveva 20. Ma le quote valevano solo nell’ottica della ripartizione delle spese.

La situazione del “kommunalki” di via dei Cordaroli è stata sanata solo poche settimane fa. A partire dal 4 settembre gli otto proprietari degli altrettanti alloggi sono diventati ciascuno proprietario del proprio immobile dopo avere perfezionato l’atto dal notaio Giuliano Chersi. Così, a più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, anche lo stabile di via dei Cordaroli 28 ha assunto una fisionomia giuridica “occidentale”. Proprietà individuale, non collettiva. Una vera rivoluzione.

A sistemare finalmente le cose è stata l’iniziativa degli avvocati Giulio Quarantotto, Maurizio De Angelis, Andrea Comisso e Libero Coslovich. La “rivoluzione” è scoppiata nel 2012, quando l’avvocato Quarantotto ha avviato un’iniziativa giudiziale che si chiama media conciliazione obbligatoria, e grazie alla minaccia di un’azione legale è riuscito a convincere tutti i condomini del “kommunalki” a procedere alla divisione spontanea dell’immobile con la creazione del vero e proprio condominio. Una sorta di costituente in cui ognuno ha rivendicato e infine si è accordato sulla proprietà. Una situazione paradossale e soprattutto ingarbugliata.

Alla fine, dopo le discussioni che è facile immaginare, sono state “tracciate” le linee di confine tra i vari appartamenti di proprietà. E poi il notaio ha ratificato l’accordo, un po’ come succede con le Nazioni Unite. Un patto che definire storico (considerati i tempi che ci sono voluti) non è certo esagerato.
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