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Condominio: le parti comuni secondo l’art. 1117 c.c.

Condominio: le parti comuni secondo l’art. 1117 c.c.
L’art. 1117 c.c., che introduce la normativa del condominio, con la legge di riforma non ha subito sostanziali modifiche, ma avvicina il linguaggio alla realtà.

L’articolo 1117 del Codice civile, infatti, continua a individuare con un elenco, peraltro non tassativo, i beni che sono presuntivamente di proprietà e di godimento comune in relazione alla loro funzione e al collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà esclusiva costituenti il condominio.
La disposizione riassume due differenti forme di collegamento tra:

le proprietà esclusive: un collegamento materiale che consiste nell’incorporazione tra entità inscindibili;
le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune: un collegamento funzionale, consistente nella congiunzione tra cose separabili.
Il novellato primo comma sostituisce il termine “proprietari dei diversi piani o porzioni di piano” con il più significativo e attuale “proprietari delle singole unità immobiliari”: infatti, oggi la realtà condominiale riguarda la condizione di milioni di proprietari di singoli appartamenti e non più una esigua minoranza di proprietari di interi piani o porzioni di piano di edifici.

Una terminologia di più immediata comprensione è dunque il primo elemento di novità e rappresenta indubbiamente uno sforzo del legislatore di avvicinare il linguaggio normativo a quello di uso comune, nonché di rendere più attinente alla realtà la regola astratta.

È significativo che il legislatore del 2012, a differenza di quello di settant’anni or sono, abbia anticipato l’espressione “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune” all’elencazione di cui al punto 1), dove il termine “edificio” è ancora designato come espressione di sintesi, essendo invece le singole cose, gli impianti ed i servizi legati alle diverse unità immobiliari, alla cui esistenza le parti comuni sono necessarie o al cui servizio sono destinate.

Si può affermare che la presunzione di proprietà comune si riferisce a tutte quelle parti del complesso immobiliare che sono indispensabili per l’esistenza stessa del fenomeno condominiale. Altrettanto significativo è che il nuovo n. 1) dell’art. 1117 c.c. faccia precedere l’elencazione dall’espressione “come”, chiara espressione della volontà del legislatore di conferire all’elenco un carattere esemplificativo e non esaustivo dell’elencazione stessa.

La presunzione di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio continua a non operare per quelle parti che espressamente siano escluse dal novero delle parti comuni da un “titolo”. Si tratta, infatti, di una presunzione semplice, juris tantum, in quanto superabile “se il contrario risulta dal titolo”.

Per escludere la condominialità di una parte comune è dunque necessario un atto di autonomia privata idoneo ad escludere la presunzione, ossia un atto a cui è necessario fare riferimento per verificare l’eventuale presenza della riserva della proprietà esclusiva del bene potenzialmente comune: si tratta dell’atto di costituzione del condominio, per tale intendendosi il primo atto con cui viene trasferita una singola unità immobiliare dell’edificio da parte dell’unico originario proprietario o dal costruttore, e non invece quello o quelli successivi.

È pacifico, infatti, che il condominio viene ad esistenza senza un atto formale di costituzione, ma nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario procede alla vendita della prima unità immobiliare, sicché sarà quel primo atto di vendita che costituirà il “titolo” nel quale escludere la comproprietà su quelle parti che altrimenti secondo l’art. 1117 c.c. sarebbero comuni.
Solo in tale atto è possibile riservare alla proprietà esclusiva di uno dei condomini un bene potenzialmente comune e non già in quello o quelli successivi perché i trasferimenti di proprietà che seguono al primo da parte dell’originario unico proprietario possono solo cambiare la composizione del condominio, ma non possono incidere sulla sua formazione, di conseguenza, il bene che con il primo frazionamento ricade in comunione non può perdere tale qualità con un atto successivo.

Fonte
Avv. Mariagrazia Monegat – Avvocato in Milano
Assocond-Conafi
http://news.attico.it/2013/06/10/nuovo- … -1117-c-c/

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